Il Carletto di Varzi

 

Nello stesso palazzo di via Padova, a Milano, dove mio padre aveva la sua officina, c’era un negozio di fotografo, nel quale lavorava Natalino Podini, Lino per gli amici.

Lino era una persona simpatica e cordiale con tutti e sapeva attirare la clientela con battute, storielle, cortesie, complimenti. Malgrado la differenza di età, aveva subito legato con mio padre, con il quale scambiava misurati sfottò che prendevano lo spunto dalle alterne vicende calcistiche di Milan e Inter.

Anche se aveva una decina di anni più di me, mi divertivo anch’io a parlare o discutere con lui. Lino, non so perché, mi chiamava "Astuto". "Ciao, astuto", "Dove vai, astuto?", Ehi, astuto, e la scuola come va?"

Nel 1959, una ditta di via Padova formò una squadra ciclistica con corridori della categoria allievi e Lino vi si buttò anima e corpo.

La squadra si chiamava Alamflex ed aveva le maglie blu con fascia biancorossa, proprio come la nazionale francese. Non so che cosa producesse la ditta Alamflex; mi verrebbe da dire materassi a molle.

Le punte di diamante della squadra erano Pasculli e Marassi. Pasculli era l’idolo di via Padova e zone limitrofe, Marassi era un tipetto piccolo e scattante, furbo quanto basta, che si disimpegnava piuttosto bene anche in pista.

Papà si fece coinvolgere dal vulcanico Lino e cominciò a frequentare quell’ambiente e a seguire qualche corsa.

Pasculli era davvero un’iradiddio: vinceva quasi tutte le domeniche. Vinceva in volata e per distacco, in pianura e in salita. Era, forse, il corridore lombardo della categoria più in vista del momento.

Un giorno, parlando con papà di questo corridore mi lasciai andare a giudizi veramente positivi.

Mio padre però non era d’accordo con me.

"Vedi,- mi disse – Pasculli va forte adesso, tra gli allievi, dove ci sono percorsi di settanta-ottanta chilometri e le salite sono gli strappetti della Brianza. Bisognerà rivederlo l’anno prossimo tra i dilettanti. E poi, è una testa matta. Senza cervello non si va lontano. Invece, il corridore veramente forte dell’Alamflex è il Carletto, quello si. Non vince adesso perché le corse sono troppo brevi e facili e poi non è veloce allo sprint. Vedrai però dall’anno prossimo come cambieranno le cose. E poi il Carletto ha cervello, è bravo, rispettoso: un ragazzo d’oro."

Papà aveva assolutamente ragione. Già nella seconda metà di quel 1959 la stella di Pasculli cominciò ad offuscarsi: deluse al campionato italiano, non vinceva più e concludeva le gare nel più assoluto anonimato.

Nel 1960, tra i dilettanti, sparì completamente dagli ordini d’arrivo e, nel giro di un anno, sparì anche dal mondo delle corse.

Nel 1960, l’Alamflex puntò tutto sul Carletto, al primo anno tra i dilettanti.

Nel giugno di quell’anno, una domenica mattina, papà venne da Milano, a bordo della sua "500", per seguirmi in una gara a cronometro, la Ponte Recchio-Sant’Andrea Bagni, che conclusi con un decente quattordicesimo posto.

Dopo l’arrivo, mi disse:" Dai, mangiamo un boccone e poi, nel pomeriggio, andiamo a vedere il Carletto che corre nel Gran Premio Enicar."

Mi meravigliai che il Carletto venisse a correre a Parma quando l’anno prima aveva quasi sempre partecipato alle corse in Brianza. Papà mi spiegò che il Carletto correva per l’Alamflex di Milano ma era di Varzi e quindi non, essendo molto distante da Parma, preferiva queste zone perché le corse avevano qualche salita in più.

Mangiammo un panino, caricammo la bicicletta sul portapacchi della "500" e via verso Fornovo.

Ci fermammo sull’ultimo dei tornanti di Piantonia, il duro inizio della salita della Cisa. Dalla nostra postazione potevamo dominare la pianura e vedere lo svolgersi della corsa dall’uscita di Fornovo in poi.

Dopo una lunga attesa, ecco le prime macchine, ecco i corridori!

In lontananza facevamo fatica e distinguere i colori delle maglie; il gruppo era allungato, poi si frazionò in piccoli drappelli, alfine vedemmo un solo uomo in testa. La maglia sembrava blu, che fosse il Carletto?

Un paio di tornanti dopo ci fu la conferma. Era proprio il Carletto e, dietro di lui, l’inconfondibile sagoma grigia e blu della "600 multipla" di Lino, che, fuori dal finestrino con tutto il busto, urlava a squarciagola il suo incitamento.

Passarono davanti a noi. Mio padre, felicissimo, urlò che ormai la salita era quasi finita.

Questa felicità di papà mi meravigliò.

"Neanche avessi vinto una corsa io!" pensai.

Il Carletto venne ripreso lungo la discesa verso Terenzo da quattro corridori e, nella volata di Parma, giunse quarto, evidenziando purtroppo la sua scarsa attitudine alle volate.

Il Carletto di Varzi era Carlo Chiappano.

Passò professionista alla fine del 1962 con la Legnano. Vinse poco, solo tre volte, tra cui la classifica finale di una Tirreno-Adriatico, indossò la maglia rosa per un solo giorno all’inizio del Giro vinto da Vittorio Adorni. Fu però uno dei gregari più apprezzati.

Smise presto di correre, nel 1972, ma cominciò altrettanto presto la carriera di direttore sportivo

Si fece subito onore anche in questa nuova attività, il Carletto, per la sua competenza, la sua serietà e le sue doti umane, quelle caratteristiche che tanto l’avevano fatto apprezzare da mio padre.

Chiappano fu direttore sportivo, ma ancor più, consigliere e amico di Beppe Saronni..

Il 7 luglio del 1982, a Casei Gerola, un incidente stradale si portò via il Carletto, tre mesi prima del trionfo iridato di Saronni a Goodwood.

 

 

29 ottobre 2004