2 gennaio

 

Anche noi, all’Istituto Tecnico Industriale Statale Galileo Galilei, avevamo un giornalino della scuola. Usciva una volta al mese e si chiamava "La lente". Un nome breve, simpatico, che piaceva agli studenti sia per il fatto che la lente è uno strumento che aiuta a vedere meglio le cose sia perché il nostro istituto era l’unico in Milano dal quale uscivano, oltre periti meccanici e periti elettrotecnici, anche periti ottici.

Provai anch’io ad inviare alla redazione del giornalino un paio di "pezzi". Furono pubblicati senza grande successo, salvo qualche benevolo commento da parte di un paio di compagni di classe. Fu invece un raccontino thriller, "La villa del mistero", ad aprirmi le porte per entrare a fare parte della redazione.

Ci riunivamo regolarmente all’inizio di ogni mese per impostare il giornalino che sarebbe uscito alla fine.

Per il numero di gennaio 1960 avevamo deciso, prima delle vacanze natalizie, di trovarci sabato 2 gennaio al solito posto, la Cremeria di via Dante, alle dieci.

Arrivai con leggero anticipo e, con un paio di amici più mattinieri di me, unimmo due o tre tavolini e cominciammo ad ordinare qualche cappuccino. Alla spicciolata arrivarono gli altri ma Paolo, il caporedattore, ritardava. Erano quasi le dieci e mezza quando arrivò trafelato: "Ragazzi, - annunciò ansimante per la corsa – è morto Coppi!".

Ma no! Come? Davvero? Quando? Ma era malato? Non ci posso credere.

Era una cosa assolutamente inaspettata. I giornali dei giorni precedenti non credo ne avessero parlato.

Le notizie erano frammentarie e imprecise. Si pensò subito ad una malattia misteriosa contratta nell’Alto Volta durante una vacanza di caccia grossa. Anche Geminiani stava male. I medici parlavano di un virus polmonare. Le polemiche sarebbero esplose più tardi.

La nostra riunione si occupò esclusivamente del fatto del giorno. Paolo disse che dovevamo fare un "pezzo" sul grande Fausto e tutti furono d’accordo nell’affidare a me l’incarico poiché ero il più esperto di ciclismo.

"Ma non c’è qualcun altro? – tentai di obbiettare – Sapete? Io sono bartaliano". La mia timida protesta fu sommersa dal rumore delle sedie e dei tavoli che venivano rimessi al loro posto.

L’impegno mi pesava. Ovviamente non per il fatto di essere bartaliano ma perché effettivamente non sapevo da che parte cominciare. Buttavo giù qualche riga di testo e poi appallottolavo il foglio. Cercavo un titolo ma non me ne andava bene uno. Il mio grosso guaio era l’avere letto tutti i giornali di quei giorni. Tutti i migliori giornalisti ne avevano parlato. Avevano già detto tutto. Cosa potevo scrivere io, povero tapino diciassettenne studente di Istituto Tecnico, che non fosse già stato scritto meravigliosamente da tutte quelle celebri penne?

Indro Montanelli, sul "Corriere" del 3 gennaio, aveva già scritto tutto quello che avrei voluto scrivere io. Sotto il titolo "Il più forte e il più fragile" aveva fatto una breve ma incisiva rivisitazione della vita del grande campione.

"Anche al traguardo della morte, sebbene fosse quattro o cinque anni più giovane di lui, Fausto Coppi ha voluto arrivare con un distacco, che ci auguriamo lunghissimo, su Gino Bartali. E se n’è andato all’improvviso, appena sceso di bicicletta, quasi che, senza di essa, la sua vita non potesse avere nessun senso". Questo era l’inizio dell’articolo poi il grande Indro parlava con affetto di Coppi, della sua vita, delle sue sfortune, del carattere mite ed introverso.

L’articolo così concludeva: "Se stavolta ha fatto in tempo ad accorgersi di morire (ma spero di no), sono sicuro che non ne ha dato la colpa né alla caccia né all’Africa, e neanche al "virus" che, a quanto pare, gli ha dilaniato quei formidabili polmoni. Avrà semplicemente pensato, di quel maligno bacillo, ciò che una volta mi disse, al termine di una tappa del Giro della Svizzera in cui Bartali gli aveva portato via il primato in classifica: "Era il più forte, e me le ha suonate".

Se Montanelli aveva …. fatto sue tutte quelle che potevano essere la mie idee, un altro grande, Orio Vergani, mi aveva addirittura …. rubato il titolo. Infatti, sempre sul "Corriere", scrisse "Il grande airone ha chiuso le ali".

Con queste premesse ero veramente disperato. Cosa potevo mai scrivere? Dovevo scrivere qualcosa che nessuno aveva scritto. Semplice, no? Ma cosa? L’idea giunse all’improvviso e mi sembrò tutto semplice. Come avevo fatto a non arrivarci prima? Mi venne pensando prima il titolo: presi lo spunto dal primo nome di Coppi (all’anagrafe il Campionissimo era Coppi Angelo Fausto) e venne fuori "Fausto torna ad essere Angelo".

Il resto fu semplice: mi immaginai Coppi in Paradiso con vari incontri e ricordi della vita terrena.

L’articolo, pubblicato su "La lente", piacque.

Un paio di giorni dopo l’uscita del giornalino, incontrai, all’uscita della scuola, la professoressa di lettere.

"Ho letto il tuo lavoro sul giornalino. Non è male. Fosse stato un tema ti avrei dato un bel voto".

E poi, prima di allontanarsi: "Si vede proprio che anche tu eri coppiano …. come me".

 

 

2 gennaio 2005