Un digiuno lungo ventisette anni

 

All’inizio fu Atala. La marca veneta si aggiudicò tre dei primi quattro Giri d’Italia, uno con Luigi Ganna, uno con Carlo Galetti ed il terzo con Ganna, Galetti, Pavesi e Micheletto, nell’unica edizione disputata a squadre.

La terza edizione era stata vinta ancora da Galetti, temporaneamente passato alla Bianchi.

Carlo Oriani (Maino) e Alfonso Calzolari (Stucchi) si imposero nel 1913 e nel 1914. Dopo la prima guerra mondiale il Giro riprese nel 1919 con la vittoria del giovane Costante Girardengo, portacolori della Stucchi, e nel 1920, liberatosi della nomea di "eterno secondo", si impose Gaetano Belloni da Pizzighettone. La maglia rosa non era ancora stata inventata e il popolarissimo Tano portò al trionfo la maglia biancoceleste della Bianchi.

Nessuno si sarebbe immaginato che per moltissimi anni nessun altro corridore della "grande marca nazionale", come veniva chiamata la Bianchi, sarebbe riuscito a vincere la maggiore corsa a tappe italiana.

Già nel 1921 Belloni tornò a fare onore al suo soprannome piazzandosi secondo dietro Giovanni Brunero della Legnano, la nuova marca rampante.

Dal 1921 al 1933 la Legnano vinse ben dieci Giri su tredici. Nel 1923 vinse la Maino con Girardengo, nel 1924 al Giro furono ammessi solo corridori isolati e vinse Giuseppe Enrici, nel 1931 vinse Francesco Camusso della Gloria.

Se vogliamo essere pignoli la Legnano vinse otto Giri, negli altri due si presentò come Wolsit, la sua sottomarca.

Erano i tempi di Giovanni Brunero ( tre vittorie) e del grande Alfredo Binda (cinque vittorie) ma si imposero anche Luigi Marchisio (nell’anno in cui Binda fu pagato per starsene a casa) e Antonio Pesenti.

La lotta tra Legnano e Bianchi era comunque accesissima, si pensi solamente al Giro del 1928: su dodici tappe, cinque furono appannaggio della Bianchi, tutte con Domenico Piemontesi, e sette della Legnano (presentatasi come Wolsit) con sei successi di Alfredo Binda che lasciò il settimo al fratello Albino.

Nel 1934 la Bianchi pensò di avere trovato l’uomo giusto per il Giro: Giuseppe "Gepìn" Olmo da Celle Ligure. Con Binda avviato verso un veloce tramonto, la maglia rosa (che nel frattempo era stata inventata) fu preda della Maino con Learco Guerra, "la locomotiva umana" o "il mantovano volante" come Tazio Nuvolari. Però il quarto posto di Olmo faceva ben sperare per il futuro. Gepìn fu terzo l’anno dopo quando la maglia rosa venne indossata sopra un’altra maglia grigia della Maino, quella di Vasco Bergamascchi, detto "Singapore" per gli occhi simpaticamente a mandorla.

Il 1936 doveva proprio essere l’anno di Gepìn ma vi fu l’esplosione di Gino Bartali, proprio quell’anno passato dalla Frejus alla Legnano. Olmo fu secondo e la Bianchi restò a bocca asciutta per il sedicesimo anno consecutivo.

Per qualche anno la casa biancoceleste dedicò la sua attenzione più alle corse in linea, dove ottenne ottime affermazioni, che al Giro.

L’occasione per ritornare competitiva nella corsa rosa si presentò nel 1940. Per questa stagione affiancava ai sui passisti veloci (l’estroso Aldo Bini, il velocissimo Adolfo Leoni e il "morino" Olimpio Bizzi) il cesenate Mario Vicini, campione italiano in carica e secondo al Tour del 1937 (quello del ritiro di Bartali per la caduta nel torrente) e, soprattutto, il piemontese Giovanni Valetti, vincitore degli ultimi due Giri d’Italia con la maglia grigiorossa della Frejus. Valetti aveva vinto nel 1938 in assenza di Bartali, a casa ad allenarsi su imposizione del "regime" per vincere il Tour; però nel trentanove aveva costretto alla resa Gino in salita!

Si profilava un nuovo duello Bartali-Valetti e, questa volta, Legnano-Bianchi. Alla vigilia del Giro del 1940 la Legnano, meglio la Legnano-Wolsit aveva vinto dodici volte mentre la "grande marca nazionale" Bianchi poteva vantare solo due successi, superata dalla Maino con quattro e dall’Atala con tre. In pratica la Legnano aveva vinto circa la metà dei Giri disputati ed inoltre poteva vantare un Tour con Bartali e tre maglie iridate con Binda.

Le cose sembrarono mettersi subito bene per la Bianchi. Nella seconda tappa, infatti, un cane fece cadere Bartali lungo la discesa della Scoffera e Gino continuò la corsa solo per la sua grande forza di volontà. In casa Bianchi, probabilmente, si fregarono le mani: l’avversario più forte era già tagliato fuori dalla classifica.

Imprevedibilmente l’astuto direttore sportivo della Legnano, Eberardo Pavesi da Colturano, soprannominato "l’avocàtt" per la sua dialettica, puntò tutto su un ventenne semisconosciuto, Angelo Fausto Coppi da Castellania. Il "coscritto" Coppi, come lo definì la "Gazzetta" giunse in maglia rosa a Milano il giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia.

Bocca ancora amara in casa Bianchi: Mario Vicini, che aveva dato il massimo, ottenne un quarto posto mentre l’atteso Valetti, che proprio quell’anno aveva iniziato la rapidissima parabola discendente, giunse con più di un’ora e mezzo di distacco dal giovane Angelo Fausto.

La casa di viale Abruzzi fece apparire sui giornali una pubblicità che sembrava scritta da un’amante tradita: "Questo Giro d’Italia, che passerà alla storia del ciclismo per la clamorosa sconfitta di TUTTI gli assi pronosticati vincitori dai tecnici delle varie cattedre ambulanti del ciclismo, conferma la superiorità di un prodotto della Gran Marca Nazionale Bianchi che vince ben dieci tappe e si aggiudica la maglia bianca con il modesto e valoroso De Stefanis.

Poi ci fu la guerra.

Alla fine del 1945, con il lento ritorno alla normalità, la Bianchi fece il grande colpo ingaggiando Fausto Coppi.

La ragionevole speranza di tornare a vincere il Giro fu rinforzata dal fragoroso inizio stagione di Coppi che, alla Milano-Sanremo, andò in fuga a Badile con altri compagni e arrivò solo a Sanremo dopo avere staccato tutti sul Turchino.

Bartali era ormai considerato vecchio da tutti e l’unico antagonista valido sembrava essere il romagnolo Vito Ortelli in maglia Benotto.

Sovvertendo le previsioni il "vecchio" Gino vinse il Giro, guadagnando minuti nella prima parte della corsa e resistendo sulle Dolomiti al ritorno di Fausto. "Gino Bartali ha vinto il 29° Giro d’Italia con intrepida lena" titolò la rosea.

La Bianchi masticò ancora amaro e uscì con una pubblicità molto polemica: "Fausto Coppi, SOLO contro la coalizione di TUTTE le forze avversarie, unite nel comune intento di impedire ad ogni costo anche quest’anno alla Gran Marca Nazionale Bianchi di vincere il Giro d’Italia, ha terminato in bellezza, sbaragliando tutti i concorrenti nelle tappa conclusiva Mantova-Milano:" In realtà Coppi, giunto primo all’Arena, fu declassato per volata irregolare e la vittoria andò a Oreste Conte della Benotto. La Legnano, nella sua pubblicità, si limitò a fare presente che la metà dei Giri disputati fino allora erano stati appannaggio della marca verdeoliva.

Il digiuno della Bianchi finì nel 1947, ventisette anni dopo la vittoria di Tano Belloni, e, sempre grazie al Campionissimo, ebbe modo di togliersi grandissime soddisfazioni. Soddisfazioni rinverdite in anni più recenti da Felice Gimondi, Johan De Muynck e Marco Pantani.

 

 

8 gennaio 2005