La prima corsa

 

Finalmente anch’io avevo la bicicletta da corsa!

Era il 1957 e, a settembre, papà mi fece la sorpresa di farmela trovare in casa al ritorno dalle vacanze estive. Era una Hermenson, ditta di Padova, colore verde Legnano. Non era il massimo ma con alcune piccole modifiche e qualche aggiunta poteva andare bene.

All’inizio del 1958, anno in cui avrei compiuto i sedici anni, decisi di staccare la licenza per la categoria "esordienti".

In via Andrea Doria, vicino a piazzale Loreto, c’era la sede dell’Augustea, società per la quale aveva corso l’anno prima il mio amico Piero Pambieri. L’Augustea dedicava la sua maggiore attenzione al ciclocross, specialità nella quale aveva ottenuto brillanti successi con Amerigo Severini, Italo Guerciotti e un giovanissimo Renato Longo. Per quanto riguarda la strada, tesserava tutti i giovani che si presentavano e lasciava svolgere loro l’attività in piena libertà senza interessarsene molto ma anche senza creare alcun problema.

L’Augustea, appunto, mi sembrava l’ideale. Mi presentai, portai il certificato di nascita e alcune foto tessera e mi fu consegnato un modulo per la visita medica da effettuarsi presso il centro di medicina sportiva di via Cerva.

Andai alla visita medica più preoccupato di non ottenere l’idoneità che dell’eventuale scoperta di qualche difetto o malformazione. Il medico, il dottor Frattini, sì proprio quello che seguiva il Giro d’Italia, mi auscultò cuore e polmoni, mi provò i riflessi, mi pesò, mi misurò altezza e circonferenza toracica. "Sei magrino e scarso di torace" mi disse e sentii crollarmi il mondo addosso. Poi passammo alla prova della capacità vitale. Mi diede il boccaglio dello spirometro e mi spiegò che avrei dovuto fare una profonda inspirazione e poi soffiarvi dentro tutto il fiato che avevo nei polmoni. Feci l’operazione soffiando fino a diventare paonazzo. "Quattro litri – si meravigliò il dottor Frattini – Come hai fatto con quel torace lì?" Volai a casa con il certificato di idoneità.

Una ventina di giorni dopo avevo la mia bella licenza. Ero anch’io un corridore.

L’Augustea, previo pagamento di lire duemilacinquecento, mi diede una bella maglia nuova dai colori papali, bianca con fascia gialla. Per non spendere altre duemila lire mi feci prestare da Piero i calzoncini da lui usati l’anno precedente.

E venne anche il giorno della prima corsa: un circuito a San Vittore Olona. La corsa era programmata per il pomeriggio così Piero avrebbe fatto in tempo, dopo avere partecipato alla mattina ad una gara per allievi, a venirmi a vedere. E fu così. Prima della partenza il mio amico, molto più bravo ed esperto di me, mi raccomandò di cercare di stare sempre nelle prime posizioni e di non correre mai al centro della strada per evitare di incappare nei numerosi tombini delle vie del paese.

Eravamo in un centinaio e la giuria decise di fare disputare due batterie su un percorso di tre giri. I primi venti classificati di ogni batteria avrebbero preso parte alla gara vera e propria.

L’uomo da battere era Vanni Pettenella, futuro campione olimpico nella velocità su pista. Pettenella, avvalendosi del suo già apprezzabile spunto di velocità, faceva man bassa di vittorie nelle corse per esordienti, corte, generalmente piatte, che finivano quasi sempre con un volatone a ranghi compatti.

Fu chiamata alla partenza la prima batteria, dal numero 1 al numero 50. I corridori vennero schierati al via in ordine di numero, così, avendo il 47 (con tutti gli scongiuri del caso), mi trovai a partire in ultima fila.

Pronti, via e tutti a "sciusciaspander"! Secondo i consigli di Piero avrei dovuto portarmi nelle prime posizioni ma davanti c’era sempre una specie di muro insormontabile. Ogni volta che cercavo di guadagnare qualche posizione, arrivavamo in prossimità di una curva e più di tanto non riuscivo a rischiare. Stavo a destra o a sinistra della strada per evitare i tombini ma, così facendo, gli spazi per sorpassare si restringevano di molto. Guardando avanti, scorgevo la maglia gialla della Bruzzanese-Brill di Pettenella già nelle prime posizioni del gruppo. Conclusi il primo giro ancora in ultima fila. "Cosa penserà Piero?" mi domandai e decisi l’azione di forza. Con un grande sforzo mi affiancai ad uno della penultima fila ma, mentre mi apprestavo a sorpassarlo, scartò improvvisamente. Per evitare di cadere sterzai rapidamente verso il centro della strada e …. tac …. beccai in pieno un tombino. Il colpo fu tanto violento che la catena mi scese dalla moltiplica. Fui lesto a rimetterla in posizione ma ormai il gruppo era cinquanta metri più avanti. Mi rialzai e, al termine del secondo giro, mi fermai.

"Cosa hai combinato?" mi chiese Piero. Non ebbi il coraggio di confessare che avevo preso un tombino quindi gli dissi che, per evitare di cadere a causa dello scarto di un altro corridore, ero stato costretto a mettere piede a terra.

"Davanti! Cosa ti avevo detto? Bisogna stare davanti!"

 

16 gennaio 2005