Il biondino di Groppello

 

Siamo agli inizi degli anni sessanta. In Lombardia c’è un ragazzino che, tra gli "allievi", vince una domenica sì e l’altra pure. Vince in volata e vince per distacco. Veste la maglia rossa e bianca della Faema, è alto, snello, ha la pedalata sciolta ed elegante, è biondo e ha gli occhi azzurri. Si chiama Giovanni Celeste Motta ma tutti lo chiamano Gianni.

Il Gianni, che è nato a Cassano d’Adda nel marzo del 1943 e abita a Groppello, si aggiudica la maglia tricolore degli allievi nel 1962 e, nel 1964, dopo due sole stagioni tra i dilettanti, appena ventunenne, esordisce tra i professionisti con la maglia blu-camoscio della Molteni. Il "sciur" Ambrogio, molto prima dello scandalo delle mortadelle allo sterco, stravede per lui e il biondino lo ripaga in maniera dirompente.

In Italia è il periodo di Adorni, Balmamion, Bitossi, De Rosso, Carlesi, Pambianco, Taccone e del giovane e promettente Zilioli. Massignan è ormai in disarmo e Baldini è all’ultimo anno di carriera.

Il Giro d’Italia è appannaggio del noioso regolarista Jacques Anquetil che, vestita la maglia rosa al termine della quinta tappa (50 km a cronometro), si difende in salita e mantiene 1’22" di vantaggio su Italo Zilioli. Il Gianni però c’è e si fa vedere. Vince in solitaria la penultima tappa Torino-Biella e finisce quinto nella generale a 2’38" da Jaquot. Niente male per un esordiente appena ventunenne!

Nella stagione vince la Bernocchi, una tappa del Giro di Romandia e il Gran Premio Molteni ad Arcore per la felicità del "sciur" Ambrogio. Al mondiale fa fuoco e fiamme prima di rimanere senza gambe nel finale: errori di gioventù.

Nel frattempo un bergamasco taciturno di Sedrina, tale Felice Gimondi, domina il Tour riservato ai dilettanti.

Il finale di stagione del Gianni è di quelli da incorniciare. Al Lombardia fugge con l’inglese Tommy Simpson, lo stacca a giunge solo a Como. Roba da fuoriclasse!

Qualche giorno dopo, in coppia con il compagno di squadra Fornoni, vince anche il Trofeo Baracchi a cronometro.

L’Italia delle due ruote crede di avere trovato finalmente l’uomo nuovo.

Gianni Motta diventa un personaggio pubblico. La stampa si interessa a lui e diventa famosa anche la nonna che abita a Premeno, dove il Gianni si rifugia spesso per riposare ed allenarsi. Saranno forse i manicaretti della nonna l’arma segreta del biondino?

Gli organizzatori della Sei Giorni di Milano non si lasciano sfuggire un ragazzino così elegante, furbo e svelto. Lo accoppiano con quel marpione di Rik Van Steenbergen, che potrebbe essere suo padre, e il successo non può mancare e il Gianni vincerà ancora nel 1966, nel 1967 e nel 1968, sempre in coppia con l’olandesone Peter Post.

Il 1965 lo riporta però un po’ in ombra. Per problemi fisici non partecipa al Giro, finalmente vinto da Vittorio Adorni davanti a Italo Zilioli e al compagno di squadra Felice Gimondi. Si piazza terzo al Tour de France, il che sarebbe una cosa notevole per un ventiduenne. Però la sua prestazione passa quasi inosservata perché a vincere il Tour è Felice Gimondi, al primo anno tra i professionisti. Il bergamasco non ha in programma la corsa a tappe francese ma prende il via all’ultimo momento in sostituzione di un compagno indisposto E’ un Tour orfano di Anquetil e dovrebbe essere facile preda, finalmente, di Raymond Poulidor. "Pou-pou" resta però ancora a bocca asciutta.

Motta vince la Tre Valli Varesine e medita il raddoppio al Lombardia. Fugge ancora con Tommy Simpson, neo iridato, ma questa volta le parti si invertono. Sul San Fermo l’inglese scatta e giunge solo a Como.

Anche il Baracchi volta le spalle al biondino: sesto posto dopo un evidente cedimento di Fornoni.

Ora è Gimondi a salire al primo posto nel gradimento degli sportivi italiani.

Il Giro d’Italia del 1966 vede il ritorno di Jacques Anquetil, che viene a sfidare Gimondi. Motta parte in sordina ma vince il Giro alla grande con quasi quattro minuti su Italo Zilioli, il "Tano Belloni dell’era moderna". Anquetil è terzo a 4’40", il temutissimo scalatore spagnolo Julio Jimenez quarto a 5’44", Gimondi solo quinto a quasi 7’.

I "mottiani" rispolverano le trombe. E’ scoppiata la rivalità Motta-Gimondi.

Da parte sua il biondino di Groppello fa innamorare le mamme d’Italia quando, in una intervista al "Processo alla tappa", racconta a Sergio Zavoli in maniera semplice e con chiara inflessione lombarda una telefonata fatta ad un suo piccolo tifoso orfano di madre. Al ragazzino triste e con poca voglia di andare a scuola regala la maglia rosa e raccomanda di applicarsi maggiormente negli studi.

Nel 1966 Motta vince quindici volte tra cui il Giro di Romandia a tappe. Nel mondiale, vinto dal tedesco Altig davanti ad Anquetil e Poulidor, giunge a 8", quarto e primo degli azzurri.

Nel 1967 parte subito forte aggiudicandosi alla grande la Milano-Torino ma al Giro è solo sesto. E’ il Giro in cui, nella tappa Trento-Tirano, la "santa alleanza" tra i corridori italiani attacca Anquetil in salita. Il normanno rischia la vita in discesa ma deve cedere le insegne del primato a Felice Gimondi.

Nel frattempo, però, la vita del Gianni è cambiata: ha conosciuto quello che crede il suo profeta, tale dottor Di Donato, un medico che lo convince con le sue teorie. Il biondino di Groppello, delicato puledro, viene sottoposto ad allenamenti duri e lunghissimi adatti ad un cavallo da tiro.

Al mondiale di Heerlen, in Olanda, Motta scatta da solo in partenza. Sembra una pazzia. Lo raggiungono l’occhialuto olandese Janssen, lo spagnolo Saez e il giovane belga Merckx, che ha da poco intrapreso gli studi per laurearsi in "cannibalismo". Il Gianni, plagiato da Di Donato, si sente imbattibile e non si risparmia. Gli italiani, gli olandesi e gli spagnoli rimasti in gruppo non possono tirare e la lunghissima fuga va in porto. La volata è vinta da Merckx e lo sfinito Motta è quarto. Esplodono le polemiche.

Il 1968 è un brutto anno per il Gianni. Divorzia da Di Donato ma vince poche corse. E’ sesto al Giro, dominato da Merckx, ma è squalificato perché trovato positivo al controllo antidoping. Comincia ad avvertire dolori ad una gamba quando è sotto sforzo ma non si riesce a scoprire la causa.

Nel 1969 lascia la Molteni e passa alla Sanson. La gamba fa sempre male. Qualcuno lo chiama "l’Enrico Toti del ciclismo italiano". Si scopre che il dolore è dovuto ad una stenosi dell’aorta femorale, probabilmente causata da un colpo ricevuto da una estremità del manubrio in una caduta in pista. Sarebbe necessario operare ma il Gianni non vuole. Si sottopone a diverse cure. Non disputa il Giro e si gioca tutta la stagione al Lombardia. Va in fuga da lontano con Dancelli ma commette l’errore di staccare il compagno troppo lontano dal traguardo. Sul San Fermo finisce la benzina e a Como è quindicesimo.

Nel 1970 succede l’incredibile: Motta diventa compagno di squadra di Gimondi alla Salvarani. Il Gianni è sempre più "Enrico Toti" e alla fine decide di farsi operare. Torna alle corse dopo essersi allenato con puntiglio. Alla Tre Valli Varesine va in fuga con Merckx, non gli dà un cambio che è uno e lo batte in volata. Il "cannibale", ormai laureato, non fa una piega: la corsa è corsa e ognuno la interpreta come vuole.

Il terzo posto al Lombardia, dietro Bitossi e Gimondi, induce a pensare che il periodo nero di Motta sia finito.

Nel 1971 non c’è Merckx al Giro e la corsa rosa si presente più incerta. Il Gianni gioca d’anticipo. Nella terza tappa, da Bari a Potenza, va in fuga insieme ad un nutrito drappello. "Dite a quello là di stare ai patti" urla all’ammiraglia. Quello là, Gimondi, subisce il gioco di squadra e si gioca il Giro mentre il Gianni è secondo in volata dietro Paolini.

"Gianni Motta impugna il Giro" titola la rosea ma il biondino viene pescato positivo all’antidoping. Scoppia in lacrime, protesta la sua innocenza, dà anche la colpa ad una tisana d’erbe preparata dalla nonna ma viene penalizzato di dieci minuti. Il Giro è finito per la Salvarani e vince lo svedese Gosta Pettersson.

Dopo sei anni torna al Tour. Parte bene ma una caduta lo rispedisce a casa con la frattura dello scafoide.

Il sodalizio con Gimondi è durato fin troppo, così, dal 1972, comincia a cambiare squadra ogni anno: Ferretti, Zonca e Magniflex. L’evidente declino è interrotto di tanto in tanto da qualche lampo di classe.

Il giorno dopo la conclusione del Giro 1974, corso nell’anonimato, vince il Giro di Milano e annuncia l’addio alle corse. Ha solo trentuno anni.

All’inizio del 1976 in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport appare questo titolo: "Gianni Motta riprende a sudare".

Il biodino di Groppello torna alle corse con la maglia bianconera della GBC diretta da Dino Zandegù.

"Non credo di potere tornare ad essere il Motta del ’66 - afferma - ma sarò comunque un buon Motta".

Partecipa ad alcune corse di primavera ed è tra gli iscritti al Giro. Alla vigilia della partenza, sotto una certa alea di mistero, dice di non sentirsi bene. Scoppia una polemica con Zandegù. Niente fa fare, il Gianni non parte e non correrà più.

 

 

5 febbraio 2005