Il Giro d’Italia più bello

 

Qualche settimana fa, leggendo il libro di Leo Turrini sulla vita di Bartali, rimasi colpito dal fatto che l’autore considerasse il Giro d’Italia del 1946 il più bello di sempre. Lì per lì continuai a leggere ma, il giorno dopo, ci ripensai e decisi di consultare qualche documento dell’epoca per cercare di capire i motivi di tale affermazione.

Devo confessare che, leggendo gli articoli di Giuseppe Ambrosini, la prima impressione, fu quella di un Giro bruttino e poco interessante.

"…. sotto l’aspetto puramente sportivo il Giro è stato non meno interessante di tanti altri, ma non mi pare sia mai riuscito ad afferrare l’animo delle folle e a trascinarle all’accesa passione."

"…. non eccelsa levatura dei primi protagonisti (Cottur, Bevilacqua, Camellini) e dall’atteggiamento prudente e insoddisfacente dei protagonisti; poi questi si sono dati il turno alla ribalta, ma nessuno ha saputo mantenervisi con sicurezza e regolarità …."

Mi venne però subito un dubbio: il Giro era stato così così perché aveva vinto Bartali? Ambrosini era un convinto coppiano e aveva presentato il Giro prima della partenza con un paragrafo intitolato "Coppi e i suoi antagonisti".

In sede di commento finale considerò Bartali vincitore ufficiale e Coppi vincitore morale, citando inoltre fatti poco chiari attribuiti a Gino o ai corridori della Legnano. Infine l’articolo di Ambrosini, a fianco della foto di Gino in maglia rosa, riportava la foto dell’arrivo dell’ultima tappa, con questa didascalia: "L’ultimo atto della grande prova all’Arena di Milano. La volata finale nella quale Fausto Coppi ha preceduto Conte e Bini".

In realtà la tappa fu vinta da Oreste Conte della Benotto perché Fausto venne retrocesso per una scorrettezza.

Cominciai a credere che il grande Ambrosini, in questo caso, fosse poco attendibile. Cercai altri articoli, altri documenti, altre versioni dei fatti. Alla fine, unendo il tutto a quanto già sapevo, mi convinsi che, probabilmente, Turrini non aveva tutti i torti.

"Bravo tu! - può dirmi qualcuno – Sei sempre stato bartaliano."

Ma no! La mia convinzione è dovuta ai fatti: in quel Giro accaddero moltissime cose. Ci furono situazioni particolari, difficoltà oggettive, intrighi, accordi segreti, polemiche, aggressioni, sorprese, commozione e un miracolo. Altro che monotonia!

Vediamo un po’. Cominciamo con il miracolo. E’ una specie di miracolo, infatti, che la corsa abbia potuto avere luogo. In una Europa ancora sconvolta dagli orrori della guerra, dove i ciclisti non possono andare a correre all’estero, se non in Svizzera, in una Europa dove nemmeno il Tour può essere organizzato; ebbene, in questo contesto, si riesce ad organizzare un Giro d’Italia di venti tappe. L’anziano Armando Cougnet, uno dei padri del Giro, è ancora al comando della carovana. Con grande fatica si riesce a comporre il campo dei partenti. Sette sono le squadre di industria: Legnano, Bianchi, Viscontea, Benotto, Olmo, Welter e Wilier-Triestina per un totale di quarantanove corridori. Vengono poi formati sei "gruppi": Milan-Gazzetta, Velo Club Bustese, Fronte della Gioventù-Dulux, Enal Campari, Azzini-Freno Universal e Centro Sportivo Italiano, nei quali vengono inseriti corridori non accasati o non inseriti nelle squadre di appartenenza. Sono tutti italiani. E’ un Giro d’Italia autarchico ma è un Giro d’Italia. In totale i partenti sono ottanta. I favoriti? La stampa mette al primo posto Fausto Coppi, grande mattatore della Sanremo. Il suo maggiore antagonista dovrebbe essere il giovane Vito Ortelli, un elegante pedalatore di Faenza. Bartali viene considerato un enigma: è vecchio (a trentadue anni!) e logorato da una lunga carriera. Il effetti Gino durante il periodo bellico non era mai parso molto brillante. Altri avversari non se ne vedono. Peraltro non è al via Magni, non ancora "Leone delle Fiandre": Fiorenzo è sospeso perché ignobilmente accusato di avere preso parte all’eccidio di Valibona, compiuto dai nazifasciti toscani. Il campione toscano-monzese sarà prosciolto dalla Corte d’Assise di Firenze all’inizio del 1947 mentre gli altri imputati saranno condannati a trent’anni. Anche questa era l’Italia di quei periodi.

Il Giro parte, il 15 giugno, in notevole ritardo sulle date abituali sia per ovvie difficoltà organizzative sia per lasciare spazio al referendum istituzionale e alle elezioni per la Costituente.

I corridori attraversano un paese in rovina. Si corre in mezzo alle macerie dei bombardamenti, si attraversano fiumi sui ponti di barche, le strade sono disastrate. Eppure, quando passa il Giro, la gente si ferma ad applaudire. Gli operai dei cantieri si fermano e salutano. Il Giro porta una ventata di freschezza, di normalità e di speranza.

Né Coppi né Bartali sembrano inizialmente in gran forma. C’è subito qualche polemica. All’arrivo di tappa a Genova, secondo qualcuno, Gino è stato favorito da un errore dei cronometristi. Nella tappa di Montecatini non viene preso alcun provvedimento nei confronti di Aldo Bini, gregario di Gino, reo, secondo alcuni, di essersi fatto trainare. In entrambi i casi la Bianchi non fa reclamo. Forse anche i suoi corridori devono farsi perdonare qualcosa.

Nella Prato-Bologna, Bartali stacca Fausto sulla Porretta. Coppi cade ma riprende i primi e vince in volata. Durante il riposo di Ancona Legnano e Benotto presentano reclamo per un presunto cambio irregolare di bicicletta da parte di Coppi. Il reclamo viene poi ritirato. Bartali si infuria, minaccia il ritiro ma poi riparte regolarmente.

La Chieti-Napoli è la tappa decisiva. Coppi non è in buona giornata anche, si dirà poi, per una incrinatura ad una costola riportata nella caduta lungo la Porrettana. Bartali scatena il finimondo sul Macerone. Se ne vanno in quattro molto ben assortiti: Bartali e Ricci della Legnano, Ortelli e Ronconi della Benotto. A Napoli vince Ricci, Ortelli è maglia rosa, Bartali a circa due minuti e Coppi a oltre sei. Legnano e Benotto hanno messo a segno un grande colpo.

"Ricci taglia primo il traguardo di Napoli. Bartali dà battaglia e domina su tutte le salite. Ortelli, confermatosi campione di classe, conquista la maglia rosa." titola Tuttosport.

La tappa Rovigo-Trieste viene interrotta in località Pieris, dove, dietro una scritta "il Giro in Italia e non nelle terre di Tito", un gruppo di facinorosi tira sassi e chiodi a tre punte sui corridori. Qualcuno dirà poi di avere udito anche alcuni colpi d’arma da fuoco.

Con la Udine-Auronzo arrivano finalmente le Dolomiti. Fausto e Gino si accordano per attaccare Ortelli: la tappa a Coppi e la maglia a Bartali. E così è. Ortelli, che si dice sia afflitto dalla pertosse, cede. Sul traguardo abbiamo un finto sprint di Fausto mentre Gino è alle prese con un altrettanto finto problema al cambio.

"Bartali suona il corno di caccia ai piedi del passo della Mauria. Coppi non gli cede un metro e la lotta è all’ultimo respiro. Fausto conquista la vittoria ad Auronzo, Gino conquista la maglia rosa." è il trionfante titolo della Gazzetta.

Il Giro sembra finito. Niente affatto. Ad Auronzo Bartali apprende che il neo presidente dell’U.V.I. Adriano Rodoni ha annullato i permessi di partecipazione dei corridori italiani al Giro della Svizzera, corsa che avrebbe fruttato a Gino un discreto gruzzolo. Il campione toscano, furibondo, manda un pacchetto contenente la maglia rosa a Rodoni: senza il permesso per il Giro della Svizzera non partirà per la Auronzo-Bassano.

Bartali è così sicuro di non partire che si concede un abbondante cena e va a letto molto tardi. E’ ancora a letto, la mattina dopo, quando gli portano la notizia della capitolazione di Rodoni. Ancora imbambolato, si mette in sella e prende il via. Sul Pocol è solo con Coppi, però sta male, vomita. Fausto, memore degli aiuti ricevuti da Gino nel 1940 sulla Mauria, lo aspetta e lo aiuta. Bartali si riprende un po’ e conviene con l’avversario che ormai il debito è saldato. Coppi se ne va da solo. Gino ha la fortuna di essere raggiunto da un gruppetto di corridori nel quale c’è anche il compagno Bini e così, al traguardo, riesce a salvare la maglia rosa. Un giornalista accusa Bini di essere rientrato grazie all’aiuto di un’auto della Legnano. E’ polemica. La Bianchi non sporge reclamo nemmeno questa volta.

Il giorno dopo, nella discesa del Rolle, Bartali fora e Coppi, dal momento che ormai sono pari, attacca. Gino insegue ventre a terra e sul traguardo di Trento conserva il primato per quarantasette secondi.

Questa volta il Giro è finito davvero.

Un Giro tutt’altro che noioso, credo. Un Giro che oltretutto ha segnato un momento storico: il vero inizio della grande rivalità Bartali-Coppi, l’evento forse più affascinante di tutta la storia del ciclismo.

 

 

12 febbraio 2005