Clacson in concerto
Era nero, anzi nerissimo, Gino Bartali alla partenza del Giro della Svizzera del 1947. Aveva il labbrone imbronciato e il naso grifagno era triste come una salita, anche se Paolo Conte l’avrebbe immortalato solo molti anni dopo.
Il Giro della Svizzera, a quei tempi, era sicuramente la terza corsa a tappe del mondo dopo Tour e Giro. Era una corsa che piaceva moltissimo al vecchio Gino perché c’erano molte salite e …. molti quattrini. Non deve scandalizzare questo "attaccamento" del campione toscano a premi ed ingaggi: la guerra gli aveva praticamente portato via tutto e, a trentatre anni, sapeva benissimo di avere ancora poche stagioni di attività per potersi costruire un futuro sereno.
Bartali, vincitore del Tour de Suisse del 1946, aveva fatto le cose per benino. Amico del ticinese Mariani, direttore sportivo della Tebag, era riuscito a fare stipulare un accordo fra la marca elvetica e la Legnano che gli consentiva di correre in terra svizzera con i colori biancorossi.
La squadra era composta da uomini fidati: Mariolino Ricci, l’esperto Aldo Bini, il giovane Renzo Zanazzi e Bruno Pasqiuini, tutti della Legnano. A completare l’organico era stato chiamato il toscano Giulio Bresci della Welter, terzo al Giro d’Italia.
E allora perché era infuriato Ginettaccio? Era in polemica feroce con il presidentissimo Adriano Rodoni e tutta la dirigenza dell’Unione Velocipedistica Italiana che l’aveva escluso dal campionato del mondo di Reims perché non aveva partecipato ad una indicativa premondiale, preferendo alcuni circuiti ad ingaggio all’estero.
"Ma che indicativa e indicativa! - argomentava , polemico, mangiandosi tutte le "c" dure e le "q", da buon toscano - Ovvia, ma che devo mai indicare o dimostrare? Gli ho fatto secondo al Giro dietro quello là (Coppi) dopo aver dominato in salita e, se ‘un mi saltava la catena sul Falzarego, il Giro l’era mio di sicuro. Cosa pretendono quei signori là? Per una indicativa del cavolo dovrei rinunciare a ‘n bel po’ di quattrini? C’ho famiglia io!"
Coppi, "quello là" come lo chiamava Gino, aveva vinto il campionato mondiale dell’inseguimento ma non aveva potuto allenarsi adeguatamente per la prova su strada di Reims, dove si era ritirato.
Il Tour de Suisse, quell’anno, veniva disputato, in maniera inusuale, dopo Tour e campionati del mondo e, per il campione toscano, era ideale per vendicarsi dell’esclusione dalla squadra azzurra e per recuperare credito nei confronti dell’eterno rivale che poteva vantare la sua fresca maglia iridata dell’inseguimento.
Si preparò meticolosamente andando a disputare il Gran Premio Prior, una corsa di tre giorni in Belgio, ottima per mettersi in forma e per …. riempire il portafoglio.
La vendetta giunse puntuale. Bartali indossò la maglia oro al termine della prima giornata e consolidò il primato nella seconda che prevedeva la scalata del San Bernardino.
La terza giornata fece trepidare i tifosi bartaliani. Il "nasone svizzero" Ferdy Kubler, tanto talentuoso quanto bizzarro, attaccò in partenza. Con Gino che lasciava fare e gli altri che non si muovevano, si avvantaggiò di ben undici minuti ed era virtuale capoclassifica. Scalò da solo Gottardo e Furka, sulla cui cima trovò anche il tempo di abbracciare la moglie, venuta ad incitarlo. La reazione di Bartali non fu brillantissima. Qualcuno diede la colpa al bioritmo, altri dissero che Gino voleva fare "spompare" Nasone Kubler. Nel valutare il distacco accumulato da Gino bisogna, comunque, tenere conto di un minuto e mezzo di ritardo dovuto ad un passaggio a livello chiuso (in Svizzera non si passa con le sbarre abbassate), due forature e una caduta senza conseguenze fisiche. Sul Furka Bartali restò con Coppi e, assieme, andarono al traguardo riuscendo a recuperare a Kubler diversi minuti. La maglia era salva.
Il giorno dopo, quarta tappa, Kubler pagò a caro prezzo gli sforzi sostenuti il giorno precedente e, in seguito all’attacco sferrato da Bartali sul Pillon, giunse al traguardo di Bienne, assieme a Coppi, mezz’ora dopo Gino che aveva lasciato vincere il compagno Bresci.
Il Giro della Svizzera era finito. Le tappe successive furono una passeggiata con l’intermezzo della vittoria di Coppi, ancora in "forma mondiale inseguimento", nella cronometro Losanna-Ginevra, 57 chilometri a quarantaquattro e mezzo di media.
La classifica finale vide Bartali in maglia oro, secondo Bresci a 21’16", terzo il belga Ockers a 24’31", Kubler a 25’56" e Coppi a 40’06".
Suonarono le trombe dei giornalisti italiani e persino il "coppiano" Giuseppe Ambrosini scrisse: "Non mi ripeterò ma solo rileverò che Bartali, se è vero che il 1948 sarà l’ultimo anno della sua attività di corridore, chiuderà certo in gran bellezza i suoi quasi tre lustri di carriera ciclistica." Toppata del grande Pepp! Dopo il 1948 Gino avrebbe corso ancora per sei anni.
Quel Giro della Svizzera vide Bartali in maglia oro fin dalla prima giornata e vale la pena ricordare in che modo l’asso di Ponte a Ema si portò in testa alla classifica.
La prima giornata era curiosamente divisa in ben tre frazioni: la prima piana, la seconda ondulata e la terza con la salita di Davos.
La prima frazione vide lo scatto in partenza dei due "K" elvetici (Koblet e Kubler) a cui si accodò Coppi. Bartali, come sempre lento a carburare, malgrado un furioso inseguimento insieme ai compagni di squadra, dovette accusare sul traguardo un ritardo di quattro minuti
Nella seconda frazione Gino attaccò e Fausto si portò alla sua ruota. Gino insistette e Fausto sempre a ruota. Gino invitò Fausto a tirare e Fausto niente. Gino imprecò e Fausto niente. Così l’attacco sfumò.
Prima della terza frazione Ginettaccio schiumava rabbia. Era inferocito. Ce l’aveva con Coppi che non aveva collaborato alla fuga.
"Ma che campione del mondo! Campione de’ miei stivali! Non sono ‘n grullo ma ‘un capisco il su’ modo di correre. Nella prima frazione l’è andato via con Koblet e Kubler e ha collaborato. Fin qui m’aggrada. Infatti l’era su’ interesse, come per gli svizzeri, cercare di far fuori il Bartali. Ma, nella seconda frazione, l’era su’ interesse collaborare con me. L’avrebbe avuto il su’ tornaconto se si riusciva a prendere un po’ di minuti a Kubler e Koblet. O no?"
Invano i suoi compagni cercavano di calmarlo.
Poi si rivolse al diesse della Tebag: " Te, tu, Mariani, ascolta bene quello che ti dico. Per dimostrare a tutti, e soprattutto a quello là, che non sono ‘n bischero, ora, nella terza frazione, quando arriviamo all’inizio della salita di Davos, o come diavolaccio si chiama, metto su ‘l rapporto duro e vado via a tutta senza mai voltarmi indietro. Hai capito? Tu dai un colpo di clacson quando si stacca Ockers, du’ colpi quando si stacca Koblet, tre per Kubler e quattro per quello là."
E fu un concerto di clacson.
16 gennaio 2006