La foto di Cottur

 

Anche Giordano Cottur, alla soglia dei novantadue anni, se ne è andato. E’ andato a raggiungere quei "due pellegrini", come era uso chiamare affettuosamente Bartali e Coppi, con i quali aveva condiviso le fatiche, il sudore e la polvere di tutta la sua carriera.

Nato a Trieste nel 1914, Cottur era passato professionista nel 1938 per la veneta Lygie, dopo un buon passato dilettantistico. Nel Giro del 1938 si mise in luce vincendo la Napoli-Lanciano. Nel 1939 vinse per distacco la Venezia-Trieste, proprio nella sua città, e si piazzò settimo nella generale. Nel 1940 non vinse tappe ma, nel Giro vinto a sorpresa dal coscritto Coppi, fu terzo. Poi venne la guerra. Abbandonò la Lygie e corse per la Viscontea.

La fine della guerra segnò per il trentaduenne Cottur l’inizio della parte più esaltante della sua carriera che coincise, nel 1946, con l’inizio del suo felice sodalizio con la neonata Wilier Triestina. In effetti la "Triestina" esisteva da tempo ma, al marchio classico venne anteposto "Wilier", strana parola che era semplicemente l’acronimo di "W l’Italia libera e redenta". La maglia non poteva che essere rossa con tanto di alabarda sul petto. Tutto molto patriottico in quell’Italia appena uscita dal dramma della guerra e in quella Trieste dichiarata "Territorio Libero".

Giordano divenne l’uomo simbolo di quella Wilier, le cui biciclette venivano ramate ed assumevano un colore brillante ed inconfondibile. L’altra punta dei rossoalabardati era Toni Bevilacqua, veneziano di Santa Maria di Sala, potentissimo passista e veloce quanto basta per giocarsi anche gli sprint più affollati. A completare l’organico erano stati chiamati Bortolo Bof, trevigiano di Segusino, Giovanni Brotto, vicentino di Cassola, Egidio Feruglio, udinese di Tavagnacco, la promessa mancata Guerrino Lunardon, vicentino di Pozzoleone, il veronese Angelo Menon e un trentino di Rovereto dal nome quasi impronunciabile, Giannino Piccolroaz.

Era una squadra tutta triveneta, la Wilier Triestina, nella quale fu inserito, stranamente, il cremonese Pierino Favalli, all’ultimo anno di carriera.

Cottur vinse la Milano-Torino, prima tappa del primo Giro del dopoguerra; vinse per distacco perché le sue doti di sprinter non erano granchè. Fu quindi anche la prima maglia rosa del nuovo corso. Sul traguardo di Trieste, dopo i fattacci di Pieris, dove i sostenitori di Tito avevano bloccato la carovana del Giro, fu simbolicamente primo. Nella classifica finale fu ottavo.

Nel 1947, Bevilacqua cambiò squadra, lasciando Cottur sempre più leader della formazione che, nel frattempo, aveva ingaggiato un altro triestino battagliero, Guido De Santi (quello che faceva spesso incavolare Coppi), due giovani di belle speranze, i liguri Vincenzo e Vittorio Rossello e un padovano dal nome curioso, Selvino Selvatico.

Al Giro riuscì, con un colpo di mano nel finale, a vincere la Firenze-Perugia ma poi fu costretto al ritiro.

Il 1947 non tanto brillante di Cottur, alle soglie dei trentaquattro anni, indusse la Wilier Triestina a varare, nel 1948, uno squadrone. Giordano era sempre la bandiera ma furono ingaggiati Fiorenzo Magni, Alfredo Martini, Giulio Bresci e i fratelli Maggini, insomma, una corazzata tale da impensierire Bianchi e Legnano.

Al Giro Cottur vinse ancora per distacco la prima tappa, Milano-Torino, e vestì la maglia rosa per ben sette tappe. Fu il Giro delle polemiche e del ritiro della Bianchi. Alla fine vinse Magni e Cottur fu terzo.

La Wilier aveva però troppi galli nel pollaio e, nel 1949, ne lasciò emigrare qualcuno. La squadra si indebolì un po’ ma al Giro d’Italia, al quale non potè prendere parte Magni, la bandiera Cottur fu terzo dietro al Coppi più Campionissimo di sempre ed a un commovente Bartali, riottoso a rassegnarsi alla legge del tempo.

Nel 1950, Cottur appese la bicicletta al chiodo e salì subito sull’ammiraglia, quella della Wilier Triestina, naturalmente.

Aveva vinto poco, solo sei corse in carriera, perché non era tagliato per le volate ma era uomo di fondo, adatto alle corse a tappe. Aveva la struttura leggera da scalatore, gli occhi chiari che si schiarivano ulteriormente con la fatica, i capelli biondicci e non molto folti, un accattivante sorriso mostragengive. A suo modo era un personaggio.

Qualcuno gli attribuì la famosa frase "Sono contento di essere arrivato uno. Ciao mamma, ciao papà". Personalmente non credo che sia stato lui a pronunciarla, anzi, non credo proprio che questa frase sia mai stata detta da alcuno ma faccia piuttosto parte di quell’alone di leggenda che ha avvolto il ciclismo di quell’epoca.

Alcuni anni fa trovai, non ricordo più dove, una stupenda foto di Cottur: il portacolori della Wilier Triestina indossa la maglia rosa, sopra la maglia l’indispensabile tubolare a tracolla, al collo un paio di occhiali da saldatore. La bicicletta ha due borracce sul manubrio, la pompa sul tubo traverso, il cambio Campagnolo a doppia leva e, sul tubo piantone, il contenitore dell’olio con beccuccio per lubrificare la catena. Il numero 23 sul telaio indica inequivocabilmente che si tratta del Giro del 1948.

Qualche tempo dopo, in occasione di un pranzo con ex colleghi di lavoro, mostrai con orgoglio una bicicletta da corsa Sala del 1942 che avevo appena fatto restaurare.

Fu allora che Angelo Del Maschio, uno dei presenti, mi disse: "Sai che a casa ho una vecchia Wilier da corsa del 1947?"

"Me la vendi?" chiesi subito.

"Te la regalo a patto che, una volta restaurata, possa venire a vederla ogni tanto".

Affare fatto! Pochi giorni dopo piombai a casa di Angelo. Era proprio una Wilier ma era messa un po’ male. Era stata trasformata in bicicletta da viaggio: via il manubrio da corsa, il cambio originale era stato sostituito da un Campagnolo anni ’50 e la sella era assai poco corsaiola.

Angelo mi rassicurò subito: "Guarda che, a casa di mio padre a Budoja in Friuli, dovrei ancora avere il manubrio ed il cambio originali. Te li farò avere appena possibile".

E così venni in possesso del cambio Campagnolo originale e del preziosissimo - per me - manubrio alla belga.

Presi poi, come riferimento, la foto di Cottur, la studiai nei minimi particolari, riuscii a trovare in un mercatino una coppia di borracce da applicare al manubrio, una sella "Brooks" perfettamente conservata e una serie di decalcomanie.

Portai il tutto a Bargano da Teresio Rozza, il meccanico che mi aveva restaurato la Sala del 1942.

Dopo alcuni mesi riportai a casa una bicicletta identica a quella della foto di Giordano Cottur

 

11 marzo 2006