5 maggio
"Ei fu siccome immobile …." cantilenava lo studentello delle scuole medie, ripetendo a memoria il "5 maggio" del Manzoni. "No! No! No! – interveniva la prof di lettere – Cos’è questa tiritera? Sembra ‘sor Pampurio arcicontento del suo nuovo appartamento’. Quante volte te lo devo dire? Ei fu. Punto. Siccome immobile ….".
5 maggio, la morte di Napoleone. 5 maggio, la morte di Gino Bartali.
Strane coincidenze: il condottiero francese ed il ciclista, che proprio sulle strade di Francia, ha scritto le pagine più belle della sua carriera.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza! Non so ancora cosa i posteri abbiano deciso sulla gloria napoleonica, di certo già i contemporanei, senza aspettare i posteri, avevano deciso che quella di Bartali era vera gloria. Una gloria diversa, per l’amor del cielo, ma assolutamente vera e genuina.
Quando, il 5 maggio 2000, apprendemmo dai telegiornali della scomparsa di Bartali, rimanemmo, credo, tutti colpiti, bartaliani e coppiani. Con Gino se n’era andata una fetta della nostra storia. La sua non fu una scomparsa improvvisa come quella di Coppi. Si sapeva che stava male da tempo e a quell’età, quasi ottantasei, si sa … prima o poi ….
Però, anche se preparati, la commozione fu vera e sincera; avevamo perso un amico.
Aveva lasciato questa terra, quarant’anni, quattro mesi e tre giorni dopo Fausto. Aveva vissuto quarant’anni, quattro mesi e tre giorni senza Coppi ….anzi, no …. con Coppi lo stesso, perché il ricordo del grande rivale faceva parte di lui e la gente che lo applaudiva lungo le strade delle corse ciclistiche vedeva lui e immaginava al suo fianco anche Fausto.
Bartali è stato un grande personaggio al di là delle sue imprese. La gente gli voleva bene per il suo brontolare, per la sua voce roca, per il suo naso da pugile, per le sue polemiche, per il suo "è tutto sbagliato, tutto da rifare".
Le origini contadine e le disgrazie che si portarono via Giulio Bartali e Serse Coppi accumunavano due personaggi peraltro profondamente diversi di carattere.
Per la gente Coppi era "il campionissimo", "l’airone", "l’aquilotto bianco-celeste", Bartali era "Gino il pio", "il brontolone", "l’intramontabile", "l’inossidabile", "il vecchio", il "vecchiaccio", "Ginettaccio".
Strano destino, quello di Bartali: nato nella "rossa" toscana, era religiosissimo, membro dell’Azione Cattolica, terziario francescano. Era amico di De Gasperi e –si diceva – frequentava il Vaticano. Un altro fatto curioso era che una delle zone più "bartaliane" d’Italia era un’altra regione "rossa", quell’Emilia-Romagna dove si verificò uno degli episodi che meglio testimoniano l’enorme popolarità del campione di Ponte a Ema. Giro dell’Emilia 1952, il trentottenne Bartali fugge in salita. A pochi chilometri dal traguardo viene raggiunto da Coppi e Minardi. Gino rifiata un po’ e, sul rettilineo d’arrivo, inventa una volata che gli permette di vincere davanti a Minardi ed a Coppi. L’entusiasmo del pubblico è alle stelle. Non solo, il quotidiano sportivo di Bologna, "Stadio", malgrado sia il primo maggio, richiama il personale e fa uscire una edizione straordinaria.
Gino Bartali, il vecchio. Cominciarono a ritenerlo vecchio e consumato dalle fatiche di una lunga carriera subito dopo la fine della guerra. Aveva trentuno anni, avrebbe ancora vinto un Giro, un Tour, due Giri della Svizzera, due Milano-Sanremo e un titolo di Campione d’Italia.
Alla fine della guerra i giornalisti sportivi, con Giuseppe Ambrosini e Gianni Brera in testa, erano per la maggior parte coppiani. Negli articoli pubblicati prima delle grandi corse, pur inserendo il suo nome nell’elenco dei favoriti, avanzavano sempre qualche riserva per via dell’età. Più volte il Pepp Ambrosini si domandò: " …. fino a quando durerà la giovinezza atletica di Bartali?". I dubbi dei giornalisti portarono spesso ad anteporgli, nella lista dei favoriti, corridori come Vito Ortelli e Aldo Ronconi. Ottimi ciclisti, senza dubbio, che però, specialmente nelle corse a tappe, non valevano certo il vecchiaccio che, tra l’altro, continuò l’attività agonistica per alcuni anni dopo che questi corridori avevano appeso la bicicletta al classico chiodo.
Malgrado la stampa fosse più coppiana che bartaliana, il pubblico voleva bene a Gino. Gli ha voluto bene quando vinceva e anche quando non vinceva. Gli ha voluto bene sia quando combatteva ad armi pari con Coppi sia quando, dal 1949 in poi, Fausto prese decisamente il sopravvento, complici la maggior classe e i cinque anni di differenza. Gli ha voluto bene nelle sempre più rare vittorie. Gli ha voluto bene perché, comunque, non mollava mai. Gli ha voluto bene quando, alla fine del 1953, ebbe un pauroso incidente automobilistico. Gli ha voluto bene perché, nel 1954, riprese a correre per l’ultima stagione asserendo che "glielo aveva ordinato il medico" per superare i postumi dell’incidente. Gli ha voluto bene quando si è ritirato dall’attività.
E poi? E poi è stato lo stesso a tutte le corse che seguiva in auto con, in testa, un berrettino pubblicitario con la scritta "San Pellegrino" oppure "Bartali" oppure "Giordani" o "Jolly 88".
Proprio con un berrettino della "Jolly 88" si presentò in televisione ad un programma su Coppi, al quale partecipò anche Giulia Occhini, la "Dama Bianca". Gino e la Occhini litigarono. Non si sopportavano. E non poteva che essere così.
L’ultima volta che ho visto Gino in sella ad una bicicletta fu a Milano, al termine del Giro del 1990, quello dominato da Gianni Bugno. La cerimonia finale si svolse nella piazza del cannone ed Ernesto Colnago consegnò a Bartali una splendida "Colnago d’oro". Gino, settantasei anni, salì agilmente e, con assoluta padronanza del mezzo, fece una passerella d’onore sotto il traguardo. Dal pubblico salì un applauso da brividi.
Negli ultimi tempi, a causa dei suoi problemi di salute, si fece vedere sembre meno. Apparve in una intervista televisiva, magro, stanco, emaciato. Dal viso scarno emergevano solo le orecchie ed il celebre naso.
Soffriva di cuore. Era stato più volte a Verona da non so quale professore ma ormai il cuore "bradicardico bovino", come diceva lui, lo stava tradendo. Quel cuore che aveva fatto sì che nessun medico militare si prendesse la responsabilità di dichiararlo abile per la guerra preferendo, prudentemente, destinarlo ai servizi sedentari, proprio quel cuore incredibile che viaggiava ad un battito ogni due secondi, non ne voleva più saperne di funzionare.
Caro Gino, è sempre tutto sbagliato, tutto da rifare.
5 maggio 2006