La foto di Learco

 

Prima di andare in pensione, mi ero preparato un elenco di "cose da fare" una volta passato in quiescenza.

L’elenco era molto lungo ed ora, dopo dieci anni, non sono ancora giunto a metà.

Tra le varie cose da fare c’era anche il riordino delle fotografie. In parte è stato fatto ma molte foto sono ancora chiuse in una vecchia scatola da scarpe.

L’altro giorno ho aperto la vecchia scatola con l’idea di fare un po’ di ordine e mi è subito capitata tra le mani una foto scattata nel 1961 al termine di una corsa ciclistica nel parmense. Quanti ricordi!

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Quello in mezzo, con il giubbino di pelle nera da motociclista, sono io. Avevo seguito gli amici in gara in sella alla mia Vespa 150 tre marce. Da qualche mese avevo appeso la bici al chiodo ma il mondo delle corse continuava ad affascinarmi. Quello al centro, vicino a me, è Guelfo Boschi, amico da una vita. Quello alla mia sinistra è Guido Borchini detto "Siso". Siso era la versione italianizzata da noi ragazzi di "Siis", termine dialettale parmense per indicare il cecio. Guido era stato soprannominato "cecio" da suo nonno perché sin da piccolo non prometteva di crescere granchè. Il "Siso" era rimasto minuto e leggerissimo, uno scalatore puro. Ai tempi delle nostre accanite sfide ciclistiche se la prendeva sempre con me perché, in salita, mi mettevo caparbiamente alla sua ruota, senza passare mai davanti, per poi batterlo regolarmente in volata.

L’ultimo del quartetto è Learco.

Conobbi Learco nell’estate del 1960. Passava spessissimo in bicicletta davanti a casa di nonna Adele a Langhirano, indossando una maglia giallorossa della "Guerra". Era sempre solo.

Un giorno, tornando da Parma assieme a Giancarlo Marchi, lo affiancammo e ci mettemmo a chiacchierare.

"Dove vai tutto solo? Come ti chiami?"

"Mi chiamo Learco e abito alla Costa di Tizzano".

"Learco come Guerra. Ecco perché porti questa maglia".

"Io però mi chiamo Learco Silla. La maglia me l’ha regalata mio padre che era un grande tifoso di Guerra".

"Però la bici non è una Guerra. – dissi dopo avere guardato la marca sul telaio – E’ una Crippa. Le fanno a Monza".

"La bici è un regalo di mio zio che lavora appunto a Monza. Mi ha regalato anche una maglia Crippa ma non la metto quasi mai perché è nuova".

Diventammo amici. Lo facemmo tesserare per la Frassati di Parma e venne ad allenarsi e a correre con noi.

Aveva un fisico potente, Learco, ma era messo male in sella. Lo accompagnammo a Parma, nella bottega di Vincenzo Bellini detto "Vizi". Il padre di Vizi era un appassionato loggionista del Teatro Regio e, amante dell’opera, con quel cognome, non ci aveva pensato due volte a battezzare il figlio col nome di Vincenzo. Vizi però era stonato e amava la bicicletta. A sedici anni comincio a correre e, a diciotto, era considerato una promessa del ciclismo. Passato dilettante però non migliorò e si perse nell’anonimato.

Vizi misurò Learco poi alzò la sella e abbassò il manubrio dopo avergli sostituito l’attacco. Lo sistemò al meglio.

Anche sistemato secondo i canoni, Learco continuava ad avere dei problemi. Faceva fatica a variare il ritmo, a scattare, ad aumentare la velocità. Andava sempre di quel passo.

"Dai, Learco, aumenta! Scatta! Non puoi scattare stando seduto. Alza il culo dalla sella!"

"Ragazzi, più di così non ce la faccio. Non riesco ad alzarmi sui pedali. E’ una cosa che proprio non riesco a fare. E’ più forte di me".

"Ma va là. Vedrai che è facile. Dai, Learco, scatta! Alzati sui pedali! Alza ‘sto culo dalla sella!"

Dal giorno in cui fu scattata quella foto non ebbi più occasione di rivedere Learco. Lavoro, altri interessi, la famiglia: il tempo passò veloce.

All’inizio degli anni settanta, una mattina, andando in ufficio, passai alla Stazione Centrale per acquistare la "Gazzetta di Parma". Lo facevo spesso, solitamente il lunedì per avere le notizie dello sport locale.

Sfogliando le pagine della cronaca della provincia vidi una foto al centro di un articolo. Era la foto di Learco. Era morto di leucemia. Aveva ventisette anni.

Restai impietrito e non potei fare a meno di pensare che, anche nella dura corsa per la vita, Learco non era riuscito ad "alzare il culo dalla sella".

 

7 giugno 2006