Raffaele Di Paco: genio e sregolatezza
"Raffaele Di Paco? Chi era costui?" si domanderanno i più giovani.
Per noi ahimè meno giovani, per noi bambini nellimmediato dopoguerra, Raffaele Di Paco era un mito. Non per averlo visto correre né per averne lette le gesta sui giornali, ma per avere ascoltato i racconti di genitori e nonni appassionati di ciclismo. Raffaele di Paco era stato genio e sregolatezza per cui le sue gesta, ci affascinavano ancora di più. Certo, di Bartali ci colpivano la volontà, la resistenza, linossidabilità, le imprese al limite della resistenza umana. Di Coppi ammiravamo la classe infinita, le imprese assolutamente uniche, anche se ci lasciava un po freddi quel suo carattere introverso. Invece, dopo avere sentito i racconti dei padri e dei nonni, Di Paco era . Di Paco. Portava con se quellinspiegabile fascino che solo i bizzarri, gli stravaganti, i genialoidi riescono ad emanare.
Pisano di Fauglia, classe 1908, Raffaele Di Paco, dopo una apprezzabile carriera dilettantistica, passò professionista nel 1928, a ventanni non ancora compiuti. Si piazzò sedicesimo alla "Sanremo" e vinse poi due gare minori pur non essendo accasato. Lanno successivo partecipò al Giro dItalia come "isolato" e fu ventisettesimo nella classifica finale. A fine stagione ottenne un eccellente terzo posto al Giro di Lombardia. Fu notato dalla Maino che se lo accaparrò per due stagioni. Nel 1930 fu quarto alla Milano-Sanremo e vinse, al Giro dItalia, la tappa di Napoli, battendo in volata nientemeno che "Locomotiva" Guerra. Poi si ritirò prima della fine del Giro.
Di Paco era un autentico fuoriclasse dello sprint. Aveva estro e fantasia; sapeva "inventare" le volate, cavando dal cilindro la sorpresa: una specie di Mc Ewen ante litteram. Allora non esistevano i "treni" né i lunghissimi rapporti quindi occorrevano fantasia, furbizia, potenza e agilità. Il ragazzo di Fauglia aveva ricevuto in dono da Madre Natura tutte queste doti con grande generosità.
Allora non aveva limiti, Di Paco? I suoi limiti, le sue pecche, erano conseguenza diretta dei suoi pregi: genialità, furbizia, stravaganza, bizzarrìa. Hanno sempre raccontato quanto amasse la bella vita, i vestiti eleganti, le belle donne, forse il fumo e qualche bicchierino di troppo per un atleta. Bel ragazzo, longilineo, dalla parlantina sciolta, non è difficile pensare che potesse piacere in qualsiasi ambiente, dalle corse su strada, alle corse su pista, alle "sei giorni", ai salotti eleganti. Incostante nel ciclismo come nella vita, bizzoso, sorprendente, imprevedibile.
Nel 1931, ancora con la maglia grigia dellalessandrina Maino, portò a termine un anonimo Giro dItalia in cui colse solo un terzo posto nella tappa di Montecatini. Tutti pensarono che lelegante velocista di Fauglia fosse già al lumicino e invece cosa combinò? Partecipò al Tour e vinse cinque tappe come lidolo francese Charles Pelissier, con la sola differenza che, mentre Pelissier si aggiudicò cinque volatone di gruppo, il nostro Raffaele, in due tappe andò anche in fuga, battendo poi in volata i malcapitati compagni davventura. In Francia divenne un idolo.
Nel 1932 passò alla Wolsit, la sottomarca della Legnano, e partì per il Giro con la convinzione di potere fare man bassa di tappe. Gli altri velocisti, che ormai lo temevano moltissimo, si coalizzarono e così, nella Udine-Ferrara e nella Ferrara-Rimini, raccolse solo due secondi posti, superato una volta da Fabio Battesini e laltra da Learco Guerra.
Non poteva certo finire così ed ecco, nella Rimini-Teramo, 286 chilometri, uscire dal cilindro il colpo a sorpresa: andò in fuga solitaria e giunse al traguardo con 350" di vantaggio sul gruppo regolato da Battesini e Mara.
Due giorni dopo, sul traguardo di Foggia, dove vinse il compagno di squadra Antonio Pesenti al termine di quella fuga che gli consentì di vincere il Giro, Di Paco si piazzò secondo, dominando la volata del gruppo. Un paio di giorni dopo si ritirò.
Un mese dopo era al via del suo secondo Tour de France. Risultato: quattro vittorie di tappa, due secondi e due terzi posti
Il 1933 ed il 1934 furono gli anni più oscuri della sua carriera. In due anni vinse solo tre circuiti e cambiò tre squadre, Legnano, Olympia e Bianchi. Tutti lo considerarono finito La sua fama di amante dei piaceri della vita contrastava troppo con le esigenze della vita da atleta. Aveva solo ventisei anni. Ma era finito davvero? Macché. Nel 1935, il commendator Umberto Dei, titolare dellomonima fabbrica di biciclette e grande amante del ciclismo su pista, portò Raffaele Di Paco a vestire la gloriosa maglia nera con fascia bianca più che altro per farne un grande pistard. Ma anche questa volta le sorprese non mancarono. Dal 1935 al 1938 restò alla Dei, con un intermezzo, nel 1937, in cui corse per la Legnano ed aiutò Bartali a vincere il suo secondo Giro dItalia.
In questi quattro anni la "saetta di Fauglia" vinse ben quattordici tappe al Giro dItalia. Nel 1935 corse il suo ultimo Tour e si impose in due tappe. A Metz vinse in volata e, due giorni dopo, stupì tutti aggiudicandosi la semitappa a cronometro Ginevra-Evian di cinquantotto chilometri davanti a due eccezionali passisti come Antonin Magne e Maurice Archambaud. Qualche giorno dopo si ritirò.
Nel 1939 fu ingaggiato dalla francese Michard soprattutto per le gare su pista, perché con lui lo spettacolo era assicurato.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale trovò Di Paco impegnato nella Sei Giorni di Buenos Aires. Restò in Argentina a caccia di guadagni (e di donne?) fino al 1946. Corse quasi esclusivamente su pista, aggiudicandosi due Sei Giorni di Buenos Aires, ma trovò anche il tempo di vincere due corse a tappe, il Giro di Buenos Aires e la Buenos Aires Mar del Plata.
Finita la guerra, tornò in Europa e visse a lungo a Parigi dove sposò una francese di origini italiane e divenne titolare di una fabbrica di mobili che dirigeva assieme alla suocera. Con lavanzare delletà sentì il richiamo del paesello natìo e tornò a stabilirsi a Fauglia.
Di Paco non abbandonò mai la bicicletta. A sessantacinque anni volle prendere parte ad una gara per vecchie glorie a Lione; cadde e si ruppe un femore. Si riprese benissimo e continuò a pedalare sino alletà di ottantacinque anni suonati quando unaltra caduta gli procurò ancora la frattura del femore. Morì a Fauglia nel 1996, quindici giorni prima di compiere ottantotto anni.
Questa in sintesi la storia di Raffaele Di Paco, genio e sregolatezza. Certe prestazioni eccezionali ed inattese hanno lasciato limpressione che, oltre ad essere un eccezionale velocista, avrebbe potuto essere anche un eccellente specialista delle "cronometro" se non addirittura un uomo da corse a tappe. Se andiamo ad analizzare il suo curriculum sportivo ci troviamo di fronte a dati contrastanti: 53 vittorie in carriera; 16 vittorie di tappa in nove Giri dItalia disputati di cui solo cinque portati a termine; 11 vittorie di tappa in cinque Tour disputati di cui solo due terminati; 3 giornate in maglia gialla; 2 sole partecipazioni al Campionato del Mondo con altrettanti ritiri.
Su Raffaele Di Paco ne furono raccontate tante sia sulla sua vita privata sia sulle sue stravaganze sportive.
Mi piace ricordarne due.
Riunione sulla pista di Bologna. E estate. Il caldo è insopportabile. I corridori, tra una gara e laltra, sostano sul prato al centro della pista dove il sole picchia come un martello. Si riparano come possono, con berrettini, asciugamani, vestaglie. Di Paco si alza e va a confabulare con un tifoso locale poi torna nel prato. Di lì a poco il tifoso ritorna e consegna a Di Paco una bottiglia. E una bottiglia di vino Albana freddissimo. Raffaele se ne scola "a canna" almeno tre quarti. Poco dopo prende il via una americana di cento chilometri e Di Paco vince.
Unaltra volta, sempre su pista, lestroso toscano si qualifica facilmente per la finale del torneo di velocità. Mentre compie alcuni giri di riscaldamento cade battendo violentemente la spalla destra. Il braccio destro è inutilizzabile. Addio finale! Macché! Di Paco si presenta al via con il braccio destro al collo e vince la finale.
Genio? Sregolatezza? Unico!
9 ottobre 2006