Il calendario di Fausto

 

Sono alcuni anni ormai che, puntualmente, a metà ottobre ricevo una telefonata. Una persona dai modi gentili e con un accattivante leggero accento piemontese si presenta: "Buongiorno. Telefono per conto del Consorzio Turistico Terre di Fausto Coppi. Volevo avvisarla che anche quest’anno è pronto ‘Il calendario di Fausto’. Desidera riceverlo?"

Al mio scontato assenso e dopo avere controllato l’esattezza dell’indirizzo, scambiamo qualche parola sul calendario, su Coppi, su Bartali, sul ciclismo di allora. "Quest’anno – mi preannuncia la persona dal leggero accento piemontese – il tema del calendario è ‘L’airone e l’aquila’ ed è tutto dedicato alla rivalità Coppi-Bartali. A un bartaliano come lei dovrebbe piacere".

Come faccia costui a ricordarsi che sono un bartaliano non riesco a capirlo se non pensando che prenda opportune note su ognuno dei suoi clienti.

L’altro ieri il "Calendario di Fausto 2007" con sottotitolo "L’airone e l’aquila" mi è puntualmente arrivato, ben protetto da una custodia di cartone ondulato. Non ho resistito alla curiosità e l’ho subito sfogliato. Devo dire che mi è piaciuto moltissimo. Innanzi tutto mi hanno colpito il rispetto e l’affetto con i quali questi …. "coppiani" hanno trattato Bartali, sia come campione sportivo sia come uomo. Poi è veramente pregevole la dovizia di documenti fotografici, alcuni dei quali anche un fanatico come me non aveva mai visto, di vignette satiriche e di ricordi di molti personaggi, tra i quali una decina di giornalisti sportivi da Gian Paolo Ormezzano a Daniele Marchesini, da Claudio Gregori a Nini Minoliti, da Giuseppe Castelnovi a Marco Pastonesi, forse l’ultimo cantore del ciclismo.

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Leggendo avidamente tutte queste testimonianze ho appreso, per esempio, che Gian Paolo Ormezzano ha saputo direttamente da Bartali la maggior parte di ciò che sa su Coppi. In effetti il giornalista piemontese ha cominciato a scrivere di ciclismo solo nel 1958 ed ha quindi avuto pochissimo tempo per conoscere Fausto.

Poi, il grande fotografo Vito Liverani dell’Agenzia Omega ci dà la sua sconvolgente verità sul mistero del "passaggio della borraccia". Liverani, grande amico di Carlo Martini, il fotografo che scattò la mitica foto, asserisce che fu praticamente una "bufala". Fu lo stesso Martini a raccontargli la verità. Tour del 1952. Dopo la vittoria di Coppi all’Alpe d’Huez, la corsa era praticamente finita, dominata dal Campionissimo. Martini, fotografo freelance, collaboratore dal 1951 della "Gazzetta" doveva cercare spunti interessanti per rifornire di foto "Sport Illustrato", la rivista settimanale della "Gazzetta". La corsa però languiva ed allora ebbe un’idea: organizzò la foto con la collaborazione di Coppi e Bartali in un momento tranquillo della corsa. Fu Martini a procurare la bottiglia (perché di bottiglia di vetro si tratta) e a fornirla ai due campioni-attori. Tutto smitizzato, quindi? Ma no. Lasciamo che ognuno la pensi come preferisce. Questa è soltanto un’altra verità, anche se personalmente sono propenso a crederci.

Insieme a tutti questi ricordi, troviamo anche brani di articoli di giornalisti o scrittori del passato.

Abbiamo un aulico Alfonso Gatto che racconta i colori del Giro 1948: " Sono tutti gialli, verdi, celesti, vermigli, i girini della carovana. Facciamone un bel mazzo, come se fossero tutti fiori campestri, e appuntiamoli sul petto della primavera".

Di Gianni Rodari abbiamo, invece, una filastrocca sul gregario, in perfetto stile Corriere dei Piccoli: " Corridore proletario/ che ai campioni di mestiere/ deve far da cameriere/ e sul piatto, senza gloria, serve loro la vittoria./ Al traguardo, quando arriva,/ non ha applauso, non evviva./ Col salario che si piglia/ fa campare la famiglia/ e da vecchio poi si acquista/ un negozio da ciclista".

Da "Ronda di notte" di Bruno Raschi (1984) è tratto un brano in cui si parla delle debolezze dei due grandi campioni: "Le sigarette di Bartali. Le ostriche di Coppi. Chi può dire con puntualità fiscale, testimoniandole una per una, le debolezze umane dei corridori, quei piccoli vizi che li hanno distinti e qualche volta li hanno traditi? Coppi accendeva la sigaretta a Bartali per accorciargli il respiro in salita. Poi, il Giro, lo perdeva magari a tavola davanti ad un piatto di ostriche, fedele al testo di una similitudine – quella del famoso piatto di lenticchie – che i ciclisti, incorreggibili ghiottoni, non hanno ancora capito".

Un brano di Mario Fossati, tratto da un articolo dedicato ad Eberardo Pavesi, spiega come mai Coppi, nel 1940 andò alla Legnano per fare il gregario a Bartali: " A suo dire (di Pavesi), vicino a Bartali, sarebbe stato difficile tenere a freno altri toscani, che erano sì corridori brillanti, di qualità, però molto bizzarri, che so, allora, Bizzi, Bini, Del Cancia. Perciò Pavesi fu felicissimo di sapere che presso Cavanna, il masseur cieco, cresceva un ragazzo di diciannove anni, tutto ossa, piemontese, che aveva bisogno di una bicicletta, di una maglia e di uno stipendio".

Orio Vergani, nel 1946, descriveva così la folla che assisteva al passaggio del Giro: "La gente esce dalle case, si mette in fila, pare addirittura che si prepari a una migrazione o a un imbarco, che aspetti non si sa quale segnale. Guardo il colore di questa folla. Non è vestita per andare a messa né per andare al pomeriggio all’osteria. Contadini, operai, braccianti, gentarella mista, geometri, bonificatori, impiegati paesani, studenti di paese. Ogni tanto una fila nera di preti".

Lo stesso Vergani, dalle pagine del "Corriere della Sera", racconta la scalata vincente del giovane Coppi sulle rampe dell’Abetone nel Giro del 1940: "Avevo visto Binda, seduto sul sellino, come un ragioniere davanti a una macchina calcolatrice, straordinariamente sicuro ( …) Ma, adesso, vedevo qualcosa di nuovo: aquila, rondine, alcione, non saprei come dire, che sotto alla frusta della pioggia e al tamburello della grandine, le mani alte e leggere sul manubrio, le gambe che bilanciavano nelle curve, le ginocchia magre che giravano implacabili, come ignorando la fatica, volava, letteralmente volava su per le dure scale del monte, fra il silenzio della folla che non sapeva chi fosse o come chiamarlo".

Bellissimi ricordi di un tempo passato e di personaggi da favola. Però, nel "Calendario di Fausto 2007", c’è un brano che mi ha particolarmente colpito. E’ tratto da un articolo di Curzio Malaparte, immagino pubblicato sul "Corriere", e la cosa che colpisce di più è che sia stato scritto nel 1949, l’anno magico, l’anno più felice di Fausto Coppi: "C’è sangue nelle vene di Gino, mentre in quelle di Fausto c’è benzina (…) Se Bartali emana calore umano, Coppi emana un sentimento di profonda solitudine. Non bisogna lasciarsi tradire dal suo sorriso, dai suoi occhi luminosi e vivi, dalle sue parole cristalline e soavi. Coppi è un uomo solo, un uomo triste".

 

12 novembre 2006