Il cappellino di Giancarlo
Franco Quagliotti era un buon corridore dilettante degli anni cinquanta. Era nato e abitava nella bassa parmense e correva per il Gruppo Sportivo Enicar di Parma.
Un pomeriggio di luglio del 1959, Quagliotti uscì per un allenamento, tornò a casa verso sera, un paio dore dopo cominciò a sentirsi male e morì.
Il fatto provocò molta emozione in tutta la provincia. Il giornale locale, "La Gazzetta di Parma", parlò di una insolazione. Ci fu chi diede la colpa ad una bevanda gelata, chi imprecò contro la calura di quei giorni, chi tuonò contro limprudenza di un allenamento pomeridiano sotto il sole battente. I soliti beninformati assicuravano che il povero Quagliotti, quel giorno, uscì per allenarsi senza mettere il cappellino in testa. Quindi sarebbe bastato un semplice cappellino di tela per evitargli quella brutta fine.
Noi ragazzi, aspiranti ciclisti da corsa, rimanemmo molto scossi sia perché conoscevamo bene Quagliotti sia perché il fatto ingenerava in noi molti dubbi sul da farsi.
Per prima cosa abolimmo gli allenamenti pomeridiani: via alla mattina possibilmente presto o, se proprio non se ne poteva fare a meno, partenza dopo le quattro del pomeriggio.
Secondo argomento: il cappellino. Non era un problema mio perché ne possedevo due, uno della Legnano e laltro della Ignis, ed avevo da sempre labitudine di metterlo sia per ripararmi dal sole sia perché, quando ero sotto sforzo, la tela del cappellino si impregnava di sudore trattenendolo in buona parte così da evitarmi fastidiosi gocciolamenti.
Guelfo Boschi ne recuperò uno da Minghini, lex dilettante di Torrechiara che gli aveva venduto la bicicletta usata un mese prima. Giancarlo Marchi e Guido Borchini non riuscirono a trovare un cappellino da ciclista. Va detto che a quei tempi, specialmente nei paesi o nelle città di provincia, non era per niente facile recuperare i capi dabbigliamento propri dei ciclisti e, a volte, si era costretti ad arrangiarsi in qualche modo. Giancarlo e Guido acquistarono su una bancarella del mercato del lunedì due cappellini di tela bianca con tanto di fibbietta posteriore e una visiera piuttosto lunga e rigida.
A dire il vero, non avevano le caratteristiche tipiche dei cappellini da ciclista tanto che se ne accorsero anche i soliti sedentari burloni del bar della Mailèn: "Mo che bei caplèn! Si adrè a ndèr a zughèr a besbol?"
Un pomeriggio di una domenica di fine luglio partecipammo ad una gara a cronometro open organizzata dalla U.S. Frassati per conto dellEnal provinciale. Il percorso, partendo dalla periferia sud di Parma, toccava Gaione, Felino, Pilastro e Corcagnano prima di tornare a Parma, per un totale di trenta chilometri circa. Ritrovo, partenza e arrivo presso il bar Lux. Il percorso era essenzialmente piatto; i primi cinque chilometri, sulla provinciale per Langhirano, presentavano solo un paio di curve ad amplissimo raggio; poi si voltava a destra per Gaione e, fino a Felino, la strada era molto stretta e tortuosa; da Felino a Pilastro bisognava superare alcune ondulazioni e, infine, da Pilastro allarrivo, gli ultimi dieci chilometri erano, praticamente, un rettilineo in leggera e costante discesa.
Del nostro gruppo di amici il primo a prendere il via fu Guido Borchini, seguito, dopo alcuni minuti, da Guelfo Boschi. Guido, peso da fantino, era uno scalatore e su quel percorso si trovò a malpartito. Guelfo, che aveva la bici da corsa da appena un mese, si difese in qualche modo.
Io fui il terzo a partire. Il percorso avrebbe potuto essere adatto alle mie caratteristiche, specialmente nella parte centrale, ma una indisposizione del giorno prima buttò allaria le mie buone intenzioni. Restai praticamente a digiuno tutto il sabato e, a mezzogiorno della domenica, prima della corsa, mi limitai a mezzo petto di pollo lesso con contorno di verdura cotta. Andai comunque discretamente bene nella prima parte e nel tratto centrale dove si doveva "guidare", poi calai sui saliscendi tra Felino e Pilastro mentre gli ultimi dieci chilometri furono un calvario. Man mano che i miei muscoli si riempivano di acido lattico i miei pensieri si riempivano di maccheroni al ragù, panini col salame e fette di prosciutto in tutte le sue varie interpretazioni, dal cotto al culatello. Il risultato fu da dimenticare.
Giancarlo era lunico che avrebbe potuto tenere alto lonore del nostro gruppetto. Sul passo non era molto agile ma assai potente, lento a carburare ma una volta lanciato .
Partì un po legnoso, trovò qualche difficoltà nel tratto di strada stretta e tortuosa, si riprese alla grande nel tratto ondulato, affrontato di potenza, e, alla fine, da Pilastro a Parma, assecondato dalle caratteristiche del percorso, mise tutto il rapporto che aveva, 50x15, e giù a menare di brutto.
Era tanto impegnato nellazione che, a quattro chilometri dallarrivo, in località Fontanini più o meno dove oggi sorge la villa di Calisto Tanzi, pedalando a testa bassa con la lunga visiera del cappellino che gli impediva una buona visuale, non si accorse che, da un viottolo laterale, si era immesso sulla provinciale un anziano signore in bicicletta, sul portapacchi della quale era legato un cestino di vimini pieno di uova accuratamente avvolte in carta di giornale.
Giancarlo lo tamponò con una velocità differenziale di almeno trenta chilometri lora. Finirono a terra, per fortuna, senza farsi male. Si alzarono entrambi in un baleno, Giancarlo per riprendere la corsa e lomino per cercare di salvare qualcosa dallimmane frittata.
"I me ov! I me ov! Cat vèna n acidènt!" urlava disperato. Limmediata preoccupazione per le uova non consentì al tamponato di vedere bene il tamponatore, che stava filando verso il traguardo, ma dovette accontentarsi di prendergli il numero di targa . cioè il numero di gara.
Giancarlo arrivò al traguardo smadonnando perché quella caduta aveva ovviamente compromesso la sua prestazione. Entrò al bar Lux per dissetarsi mentre noi restammo fuori in attesa dellesposizione delle classifiche.
Dopo un po, nella confusione del bar, fu avvicinato da un signore anziano che gli chiese: "Scusi, conosce un certo Marchi Giancarlo?"
Era il tamponato che, dopo essere andato a verificare lelenco dei partenti, cercava il responsabile dellincidente. Giancarlo, che di primo acchito non aveva riconosciuto la sua vittima, capì al volo la situazione, finse di pensarci su un attimo e poi rispose: "Marchi? Marchi Giancarlo? No. Mai sentito nominare." Poi, facendo finta di nulla ci raggiunse allesterno del bar.
"Ragazzi, siamo tutti stanchi. E meglio andare a casa. Lasciamo perdere la classifica, la vediamo domani sul giornale" disse togliendo il numero di gara dal telaio della bicicletta.
29 gennaio 2007