Reims, Ercole Baldini e una Vittoria diversa

 

Albeggiava. L’aria nello scompartimento si era fatta praticamente irrespirabile: in sei in cuccetta per una notte intera. Mezzo vestito e mezzo no, mi portai nel corridoio e respirai – si fa per dire – a pieni polmoni. Una pioggia sottile disegnava righe trasversali sul finestrino. Fuori, la campagna francese era ondulata, grigia, uniforme, triste. Eravamo agli inizi del mese di maggio del 1964 ma sembrava autunno. Il treno era diretto a Reims e io facevo parte della comitiva dei dodici italiani qualificati per il Campionato Europeo di regolarità in Vespa: dodici rappresentanti, due scompartimenti da sei cuccette ciascuno e le Vespa bagaglio appresso.

Conoscevo Reims per due motivi, il famoso circuito automobilistico e la vittoria di Ercole Baldini nel mondiale del 1958. Il ricordo della vittoria di Ercolèn era ben vivo nella mia mente mentre del circuito ricordavo solo il rettilineo d’arrivo e le tribune che avevano salutato l’impresa del campione di Forlì. Questi ricordi si fondevano con l’emozione di andare a disputare un campionato europeo.

Dei dodici azzurri ero il più giovane – ventuno anni – i più vecchi erano Luciano Segolini di Mantova e Carmelo Chifari, un Carmelo incredibilmente genovese. Entrambi superavano la cinquantina. Della spedizione faceva parte anche una ragazza, Vittoria Bastelli, infermiera all’ospedale di Bologna.

Dopo di me uscì dallo scompartimento proprio Segolini con la sua chioma candida e la cravatta azzurra d’ordinanza con il nodo allargato e sghimbescio. Segolini amava lo scherzo e la compagnia; faceva l’aiutante in una farmacia nel centro di Mantova e si vantava di avere stretto una cordiale amicizia con Angelo Benedicto Sormani, idolo della squadra biancorossa qualche anno prima. Segolini si stiracchiò, diede un colpetto alla cravatta peggiorando la situazione e poi si mise ad osservare la campagna. Alla vista di un branco di mucche al pascolo, intonò "oggi ho visto tua madre" e giù in una fragorosa risata. Anche lui era un appassionato di ciclismo e così ci mettemmo a ricordare assieme quel famoso mondiale del 1958.

Per il mondiale 1958 il citì Alfredo Binda aveva messo assieme un buon gruppo di corridori: il veneto Vito Favero, giunto inaspettatamente secondo al Tour, battuto solo nella cronometro conclusiva da Charly Gaul, l’estroso Nino Defilippis, l’ormai affermato Gastone Nencini, l’allora giovane Aldo Moser, Arnaldo Pambianco e Alfredo Sabbadin. L’asso da undici punti era però Ercole Baldini, fresco vincitore del Giro d’Italia, durante il quale il suo potentissimo motore aveva stroncato Charly Gaul in salita. Ercole era solo al secondo anno di professionismo e dal punto di vista tattico lasciava ancora un po’ a desiderare. Il grande Alfredo aveva indovinato un colpo da maestro: ad indossare l’ottava maglia azzurra aveva chiamato un uomo dalle gambe un po’ logore ma dall’acume tattico sopraffino, Fausto Coppi. Qualcuno aveva polemizzato perché pareva un delitto lasciare a casa qualche corridore più giovane per fare posto ad un campionissimo ormai finito che in tutta la stagione non aveva fatto vedere nulla dell’antico valore.

Il 31 agosto 1958 avevo seguito la corsa di Reims a Langhirano in un piccolo bar che aveva una sala tivù piccolissima. Era l’anno di Modugno con il suo "Volare" e nel juke box del bar il più gettonato era Harry Belafonte con "Banana boat". Paul Anka difendeva a denti stretti la sua "Diana" ed era ancora di moda Frankie Laine – al secolo Francesco Paolo Lo Vecchio – con "Sixteen tons", "Jezebel", "O.K.Corral" e "The three ten to Yuma". I più romantici ascoltavano "Scandalo al sole", "Magic moments" e la tromba d’oro di Eddy Calvert in "Ciliegi rosa". Tra gli italiani si difendeva bene una giovane milanese dai denti da coniglio, Roberta Corti che, con il nome d’arte di Betty Curtis cantava la versione italiana di "With all my heart". In occasione del mondiale il juke box era staccato e il calciobalilla deserto; la sala era stipata all’inverosimile. Il televisore, posizionato sopra una mensola, era altissimo, quasi a soffitto. Così vedevano tutti …. sì, ma che torcicollo! Tutti fumavano, sembrava di essere in una camera a gas. Riprese in bianco e nero, solo tre o quattro postazioni fisse. Il passaggio dei corridori durava meno di un minuto e poi si aspettava, si aspettava e si facevano congetture che poi venivano contraddette da qualche notizia ufficiale.

Il primo collegamento era intorno alle dieci del mattino per seguire la partenza. Pioveva a dirotto. Le immagini erano brutte, buie e disturbate. Pronti, via! In un attimo il gruppo era scomparso nell’oscurità. Dopo il passaggio dalla prima postazione fissa la Rai aveva previsto di interrompere il collegamento per poi riprenderlo nel pomeriggio. I corridori non si erano certo dannati l’anima per cui il passaggio era avvenuto proprio in chiusura del collegamento, senza la voce del commentatore. Era in fuga un gruppetto di una decina di corridori e la telecamera, prima di staccare, aveva fatto appena in tempo a mostrarci il naso aggrottato di Fausto Coppi. Coppi in fuga in partenza? I tifosi del campionissimo erano usciti dalla camera a gas per esultare in strada.

"Reims! Reims! Siamo arrivati. – annunciò Segolini – Dai, giù dalle brande! Qui si fa l’Italia o si muore."

Da quel momento in poi ebbi poche occasioni di ripensare a Baldini e a Coppi. Il programma era pressante: punzonatura in una piazza nelle vicinanze della cattedrale, ricevimento in municipio, cena ufficiale, approntamento delle tabelle di marcia, controllo dei cronometri e tutti a nanna.

Il giorno della gara pioveva a dirotto. La giornata era buia, buissima come nelle riprese televisive del 1958.

Fummo intruppati e condotti alla partenza, situata presso le tribune del circuito di Reims. Scoprimmo che il circuito si trovava a Gneux, qualche chilometro fuori Reims, e fu una grande delusione: era un circuito stradale in aperta campagna. Esisteva solo un lungo rettilineo d’arrivo con tribune e box. In occasione delle gare venivano semplicemente transennate piccole strade di campagna per disegnare un circuito plausibile.

La tabella di marcia nominava località come Verzy, Vertus, Damery, Fismes, Epernay. Il nome di Epernay era quello che mi sembrava più noto ma non ricordavo se per il mondiale del 1958 o per qualche bottiglia di Champagne.

Pronti? Via! Il percorso prevedeva stradine strette, continui su e giù. L’asfalto era sporco di fango portato a valle dalla pioggia che inondava i nobilissimi vigneti. Occorreva porre grande attenzione nella guida.

"Proprio come nel 1958! – pensai – Come avranno fatto a stare in piedi su un asfalto così viscido?"

Nella saletta tivù, alias camera a gas, del bar di Langhirano eravamo tornati puntuali nel primo pomeriggio per la ripresa dei collegamenti e subito avevamo avuto una bella notizia: erano in fuga Louison Bobet, l’olandese Gerrit Voorting e due italiani, Gastone Nencini ed Ercole Baldini. Avremmo saputo successivamente che fu Coppi a spronare Ercole ad entrare in quella fuga che sembrava prematura: l’ultima grande intuizione del Campionissimo. Poi si erano staccati Nencini e Voorting e, infine, su uno zampellotto, Ercolén aveva staccato anche il grande Louison. Gli ultimi chilometri del campione di Forlì, ancorché in un grigiore quasi serale, erano stati seguiti – meraviglia delle meraviglie – dalla prima telecamera mobile della storia. Si trattava di una telecamera montata su di una vecchia jeep che ci aveva permesso di seguire Baldini, quasi sempre in primo piano e dedito a frequenti sorsate dalla borraccia posta sul manubrio, fino al trionfo alle tribune dell’autodromo. Eravamo usciti festanti in strada lasciando vuota la camera a gas.

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Se Baldini era riuscito a fare sua la maglia iridata nel 1958, non altrettanto riuscimmo a fare noi italiani nel 1964. Ad un posto di rifornimento, Gigi Grassi, indimenticabile cronista della "Gazzetta", si avvicinò per dirmi: "Fino al quarto settore eri bello", il che non era un apprezzamento sulla mia avvenenza ma la conferma che ero tra i primi in classifica. La vittoria andò ad un francese dal nome spagnoleggiante, De Carvalho, il bolognese Bortolotti fu quarto ed io sesto.

La sera, durante il banchetto ufficiale presso le cantine Laurent Terrier, al lume di candela e tra fiumi di Champagne, il vecchio Segolini alzò il calice e, pomposamente disse: "Qui, nel 1958, Baldini ha vinto, noi no. Però comunque sia andata, De Cavallo o non De Cavallo, noi italiani la Vittoria – e guardò l’infermiera di Bologna – ce la portiamo a casa lo stesso."

 

28 febbraio 2009