La Bianchi "Folgore" e il mistero delle Terme di Caracalla

 

Da quando racconto storie di ciclismo in internet mi capita spesso di essere contattato da appassionati che mi chiedono notizie, informazioni, consulenze tecniche. Il fatto di venire interpellato mi fa molto piacere non tanto per la soddisfazione di essere considerato un "tuttologo" del ciclismo d’epoca quanto per avere l’opportunità di toccare con mano quanti siano, giovani compresi, gli appassionati di questo sport cui, a torto, la stampa sportiva dedica la centesima parte dello spazio di un tempo. Mi hanno scritto personaggi diversissimi tra loro: una maestrina del varesotto che voleva sapere tutto sul "passaggio della borraccia" e che, poi, mi ha mandato una copia del lavoro fatto dai suoi alunni sull’argomento; Silvia, la nipote di Primo Volpi, indimenticato vincitore di un Giro d’Europa, alla quale ho mandato del materiale sul nonno e dalla quale ho ricevuto un meraviglioso libro sul campione della Val d’Orcia. Poi ci sono stati i nipoti dei fratelli Gelmetti, ciclisti professionisti del tempo di Learco Guerra, che mi hanno inviato una enorme quantità di documenti e foto sui loro parenti campioni. Con loro mi scuso per non avere ancora avuto il tempo materiale per inserire qualche notizia sul mio sito. Infine ci sono state diverse richieste di consulenza su bici d’epoca. Proprio in merito a ciò ho stretto un simpatico rapporto con Andrea, un avvocato quarantenne di Siena, patito delle bici d’epoca, degli indumenti di una volta e, manco a dirlo, della cosiddetta "Eroica" che proprio là è di casa. L’amicizia è iniziata con una richiesta di consulenza da parte di Andrea su una bicicletta Bianchi modello "Folgore" appena acquistata. Poichè non era semplice intendersi via e-mail abbiamo fatto una lunghissima telefonata, durante la quale Andrea mi disse: "…. la bici è una Bianchi modello "Folgore" del 1947 ed è perfettamente conservata, non necessita di alcun restauro. Pensa un po’ che apparteneva ad un gregario di Coppi, Luigi Càsola."

"No. – risposi – Non era Luigi Càsola ma Casòla, un ciclista talentuoso ma un po’ …. mattacchione. Grande velocista comunque".

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Questi fatti mi sono tornati alla mente poco prima di Pasqua quando, sulla "Gazzetta", ho trovato la notizia della morte, a ottantasette anni di Luigi Casola nella sua Busto Arsizio. Come giustamente rimarcava l’articolo della "Gazzetta", Casola era un uomo allegro, un burlone, un uomo che sapeva prendere la vita nel verso giusto.

Nato a Busto Arsizio nel luglio del 1921, di qualche mese più giovane di Fiorenzo Magni, era passato professionista nel 1946, dopo i travagli del periodo bellico. I tempi erano duri, non aveva trovato squadra e si era accontentato inizialmente di qualche aiuto dalla Ricci. Al Giro d’Italia, oltre alle "case", gli organizzatori avevano previsto la partecipazione di alcuni gruppi sportivi per avere un adeguato numero di partecipanti. Casola partecipò al Giro della rinascita sotto i colori del Velo Club Bustese ma si ritirò. Ebbe però modo di mettersi in evidenza con sette vittorie e diversi piazzamenti che gli fruttarono, verso fine stagione, la chiamata della Bianchi. E, con la maglia della Bianchi, Casola prese il via al Giro di Lombardia come gregario di Coppi. Era in stato di grazia quel giorno o, forse, non era tanto in forma Coppi. Morale: al Campionissimo resistettero Michele Motta da Oreno di Vimercate, classe 1921 in maglia Welter e, proprio lui, Luigi Casola, classe 1921, da Busto Arsizio, in maglia biancoceleste come Coppi. In volata Casola si sarebbe "bevuto" sia Motta sia Coppi ma no …. non poteva proprio battere il suo capitano. Sul ponte della Ghisolfa Coppi scattò, Casola si incollò alla ruota di Motta: 1° Coppi solo, 2° Casola, 3° Motta.

Si disse che Coppi premiò Casola con un milione di lire. Sinceramente mi pare eccessivo in primo luogo perché il dovere del gregario era comunque quello di aiutare il capitano, in secondo luogo perché un milione, nel 1947, era una gran bella cifra. Forse non prendeva un milione nemmeno il vincitore del Giro d’Italia. Di sicuro c’è invece il fatto che il comportamento sulla Ghisolfa fruttò a Casola il contratto alla Bianchi per il 1947.

I compiti del gregario non si addicevano però all’estroso corridore bustese (nessuna vittoria nel 1947) e così, nel 1948, vestì la maglia rossoverde della Cimatti, vinse due tappe al Giro e la Coppa Placci.

Nel 1949 Casola conobbe Benotto e passò a difendere i coloro biancoblu, tre vittorie: una tappa al Giro, la Milano-Torino e il Circuito di Alessandria. Dal 1950 al 1953 vestì i colori grigioblu dell’Atala collezionando altre sei vittorie tra cui un’altra tappa al Giro, un Giro del Veneto e una Coppa Bernocchi quasi sull’uscio di casa.

Al Giro del 1951, assente Malabrocca, gli saltò in mente di competere per la conquista della maglia nera. Lottò per alcune tappe mentre, a "Giringiro", il quartetto Cetra cantava la lotta per l’ultima piazza: "…. se la prende poi Casola non c’è più chi ti consola ….". Gli capitò di vincere una tappa e così trascurò la lotta per la maglia nera che finì sulle spalle di Giovanni "Nane" Pinarello, il futuro grande costruttore di biciclette da corsa.

Dal 1954 al 1961 Casola staccò sempre la licenza da professionista ma furono poche le sue apparizioni in Italia e dal 1960 si trasferì a Città del Messico dove sposò una messicana e divenne il promotore del ciclismo messicano, costruì il velodromo Olimpico e da lui andarono Merckx e Moser per i loro record. Quel "mattacchione" bustese fece di tutto per lo sport in generale, non solo per il ciclismo. La morte prematura della moglie gli consigliò di mandare le due figlie a vivere in Italia e, nel 2003, le raggiunse. Tornò così a Busto Arsizio

Di Casola conservo un mistero che non sono mai riuscito a svelare. Giro d’Italia 1950, quello della caduta di Coppi a Primolano, quello della vittoria di Hugo Koblet sul trentaseienne Gino Bartali in virtù degli abbuoni … tutto sbagliato …. tutto da rifare. E’ un Giro atipico con partenza da Milano e arrivo a Roma per celebrare l’Anno Santo. I corridori affrontano il tappone dolomitico alla nona tappa, durante la quale Coppi cade e ci rimette il bacino, poi un lungo zig-zag attraverso gli Appennini. Non c’è più Coppi e non ci sono "cronometro" ma, ahimè, contro Ginettaccio c’è il gioco degli abbuoni, madonnina bona!

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Il Giro si conclude a Roma sul magnifico vialone delle Terme di Caracolla: uno sprint regale senza "treno" alcuno. Vince alla grande Oreste Conte, uno dei velocisti più eleganti che io ricordi. Viene scattata una bellissima foto che conservo da anni: dietro la maglia biancoceleste del vincitore sgomitano sderenandosi nello sforzo i migliori velocisti del lotto. Secondo è Annibale Brasola sulla destra della strada, terzo Renzo Zanazzi, poi ci sono alla rinfusa Giovannino Corrieri, Serse Coppi, Toni Bevilacqua, Luciano Maggini. Però subito dietro Conte, a centro strada, c’è una maglia scura: la maglia scura è dell’Atala e la sagoma è quella inconfondibile di Luigi Casola. Perché non c’è traccia di lui nell’ordine d’arrivo? Non sono mai riuscito a risolvere il mistero. Ho consultato almanacchi, sono stato in emeroteca a cercare sui vecchi giornali, niente! Non ho trovato notizie di una eventuale retrocessione per qualche irregolarità. Che sia stata una topica dei giudici d’arrivo? Se è così mi immagino Casola sollevare questioni anche in Paradiso.

 

15 marzo 2009