Per un dente in più

 

Era la fine di agosto del 1959, mezzo secolo fa. L’assessorato per lo sport ed il turismo della provincia di Parma, nell’intento di festeggiare con un anno esatto di anticipo le Olimpiadi di Roma, aveva deciso di organizzare una "Giornata olimpica" dedicata ai giovani. L’organizzazione delle gare relative alle varie specialità venne affidata a varie associazioni sportive esistenti sul territorio. Le finali avrebbero dovuto svolgersi in una sola giornata allo stadio Tardini, che allora aveva anche una pista di atletica, o nelle immediate vicinanze dello stadio stesso, in modo da potere procedere alle premiazioni in unico luogo.

Per quanto riguarda il ciclismo fu scelto come prova il chilometro con partenza da fermo, specialità prettamente olimpica. L’organizzazione delle due prove eliminatorie e della finale fu affidata al Dopolavoro Pedale Parmigiano, società simbolo del ciclismo amatoriale parmense. Il deus ex machina della società era Enzo Mariani. Mariani era un personaggio eccezionale. I suoi pochi capelli grigi di ultracinquantenne non gli impedivano di gestire la sua drogheria in via della Repubblica, essere il fiduciario provinciale della Dace (l’attuale Udace), organizzare gare amatoriali, parteciparvi pure e infine scrivere gli articoli per la "Gazzetta di Parma" firmandosi Maren.

La prima delle due eliminatorie fu disputata a San Secondo, nella bassa, la seconda avrebbe dovuto svolgersi proprio a Langhirano dove stavo trascorrendo le vacanze estive a casa di nonna Adele.

Il regolamento delle gare, abbozzato in qualche modo sulla "Gazzetta di Parma", lasciava adito a qualche dubbio interpretativo. Cio’ che pareva chiaro era l’esclusione dei tesserati UVI; quindi, molto a malincuore, non avrei potuto partecipare. Tra gli altri amici, Giancarlo Marchi sembrava non potesse partecipare per avere superato i limiti di età mentre erano in perfetta regola Guelfo Boschi, Guido Borchini e Gabriele Grossi.

Fu così che Giancarlo ed io ci mettemmo il cuore in pace mentre Guelfo e Guido, non ritenendo il chilometro una specialità loro congeniale, non si impegnarono in alcun allenamento specifico. Invece, Gabriele Grossi, detto "Lele" oppure "Ciccio" oppure ancora "Cicetto", passò una settimana provando curve e controcurve in tutte le parti del paese perché non era riuscito ad individuare quale avrebbe potuto essere il circuito da un chilometro.

Il giorno prima dell’eliminatoria Giancarlo ed io, sicuri di non poter partecipare, ci sorbimmo un allenamento di un centinaio di chilometri con gli ultimi venti a tutta, sotto un vero e proprio diluvio universale.

Fortunatamente il giorno della gara era allietato da un bel sole. Andammo alla partenza per curiosità e per sostenere i nostri amici. Fu lì che Giancarlo scoprì che rientrava nei limiti di età regolamentari. E fu lì che incontrai Dell’Orto, un allievo della U.S. Amatori, anch’egli tesserato UVI. Mi convinse ad andare con lui da Mariani per chiedere se proprio fossimo esclusi dalla gara. Mariani, a malincuore, ci confermò che il regolamento era proprio quello. Delusi, ci allontanammo di qualche metro, quando Mariani, che era un gran brav’uomo, ci venne vicino e disse: "Alora, fema acsì. Voi partecipate. Ma la vostra partecipazione vale solo per questa gara. Anca sa rivì in ti prim des non vi qualificate per la finale". Gli avrei baciato la pelata. Corsi a casa per mettermi in tenuta di gara: guantini, quelli belli, pantaloncini appena stirati da nonna Adele e maglietta di seta da pista rossa con fascia biancoblù mai usata prima. Ma i calzini bianchi? Ne avevo due paia, uno era stato appena lavato e l’altro era ancora impregnato di acqua e terriccio dopo il diluvio del giorno prima. Che fare? Non potevo certo commettere il … sacrilegio di usare un paio di calzini colorati. Mi ricordai però che tutti i velocisti, da Maspes in giù, erano soliti indossare gli scarpini senza calze per avere una migliore aderenza piede-scarpa. Bene! Infilai gli scarpini senza calze. Erano ancora umidi dal giorno precedente ma la sensazione era decisamente stimolante. Mi diedi una rapida occhiata nel grande specchio centrale dell’armadio di nonna Adele: poteva andare. Tolsi pompa e borraccia dalla bici, infilai il casco nel portaborraccia e mi fiondai verso il luogo di partenza.

La partenza era situata in via Roma, più o meno dove nel 1991 Bugno avrebbe vinto la cronometro Collecchio-Langhirano e Chioccioli avrebbe mantenuto la maglia per un misero secondo, prendendo però lo spunto per vincere il suo Giro.

Il telo del traguardo era stato steso tra il Cinema Nuovo e lo stabilimento di stagionatura di Bixio Bianchi, dalle cui finestre uscivano meravigliosi profumi di prosciutti.

Il percorso, finalmente scoperto, era tutt’altro che "pistaiolo": quattro curve ad angolo retto, duecento metri in terra battuta, centocinquanta metri di salita in terra battuta al 10-12%. Quel "chilometro" misurava in effetti 1480 metri. Ma cosa importava? Era bellissimo essere lì per correre. Conoscevo benissimo il percorso e mi misi a pensare ai rapporti da usare.

Del nostro gruppo di amici i primi a gareggiare furono Guelfo Boschi e Guido Borchini con tempi mediocri come era nelle previsioni. Poi il parmense De Simoni, numero trenta, stabilì il miglior tempo provvisorio. Col trentatre si schierò alla partenza Giancarlo Marchi che da tutti noi era ritenuto il favorito per la sua notevole potenza. A sostenerlo al momento del via si dispose Antonio Vicini, un ragazzone grande e grosso dai capelli biondo-rossicci che, negli anni novanta sarebbe diventato sindaco di Langhirano e successivamente senatore della Repubblica.

La potenza di Giancarlo venne penalizzata dai troppi cambi di ritmo e, a sorpresa, non riuscì a fare meglio di De Simoni.

Con il "35" toccava a me. 49x19 il rapporto per la partenza. Due colpi di tosse e un paio di pedalate all’indietro. Antonio Vicini si era impossessato del mio sellino e mi teneva con energia. Meno cinque …quattro … tre … due …uno …via!

La spinta del futuro senatore mi fece trovare subito sulla prima curva. Rilanciata l’azione, misi il 17 fino alla curva successiva che presi a tutta, sfiorando il ciglio della strada e poi misi il 16. 49x16 era il massimo rapporto consentito nella categoria allievi. La strada era in leggera discesa e il rapporto era un po’ leggero ma non ci pensavo e mulinavo le gambe il più velocemente possibile. All’altezza del campo di calcio iniziava la terra battuta. Non feci una piega. Il terreno teneva bene. Sentivo il rumore del brecciolino sotto i tubolari. Qualche sassolino mi picchiava contro gli scarpini. Al termine del campo di calcio c’era il punto chiave: sterrato, curva ad angolo retto e salita. Vi giunsi lanciatissimo, scalai dal 16 al 19 in una "cambiata" perfetta ed irripetibile, mi alzai sui pedali e volai la salitella. Di nuovo asfalto, 17 … 16, ultima curva ai limiti dell’aderenza e vialone finale in leggerissima, costante salita … interminabile! Intuii l’incitamento della gente, digrignai i denti e buttai avanti la bici sulla linea del traguardo poi, con un infinito senso di liberazione, smisi di pedalare e lasciai che la bici mi portasse dove voleva. Quattro colpi di tosse, più nervosa che altro, poi girai la bici per tornare verso il traguardo. Quando rialzai la testa mi apparve una scena che impiegai qualche secondo a capire: tutti i miei amici correvano verso di me urlando. Mi fermarono, mi abbracciarono, mi diedero decine di manate sulle spalle. Capii che avevo stabilito il miglior tempo, ma quello che capii con qualche attimo di ritardo era che avevo rifilato quattro secondi e mezzo a De Simoni: un abisso.

Mariani lasciò la sua postazione vicino ai cronometristi, impugnò la macchina fotografica e si inventò fotografo della "Gazzetta di Parma". Che magnifica sensazione!

A quel punto non restava che attendere. Mancavano otto concorrenti. Per ultimo, col numero quarantatre, sarebbe partito Lele Grossi. Di lui avevo un po’ paura, non tanto per gli allenamenti che aveva fatto in settimana quanto per il fatto che, senza obblighi di rapporto, non essendo tesserato UVI, sulla sua bici aveva il 15, un ingranaggio che poteva risultare determinante nella parte discendente del percorso. Poi pensai che anche Giancarlo Marchi e De Simoni avevano usato il 15 ….

Le prestazioni degli altri concorrenti risultarono ininfluenti e si giunse così alla partenza di Lele. Il futuro senatore, per rispettare la par condicio, rifilò una bella spinta anche a lui e poi cominciò la lunga attesa. Il tempo sembrava essersi fermato. Mi riprese la tosse nervosa. Finalmente apparve in fondo al rettilineo. Ce la fa! Non ce la fa! Va forte! Va piano! Ognuno diceva la sua. Tagliò il traguardo stremato. Trattenni il fiato. Mariani ascoltò il cronometrista, imbracciò la macchina fotografica e corse da Lele: aveva vinto!

Ci abbracciammo. Mariani, per consolarmi, mi disse che era come se avessi vinto anch’io perché ero stato battuto per solo mezzo secondo.

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Mezzo secondo, una inezia, un battere di ciglia … un niente. Ma un niente che valeva tanto.

Poi, mentre la tosse nervosa stava passando, pensai che mezzo secondo a quelle velocità poteva valere una quindicina di metri quindi non era proprio una inezia.

Certo, però, che se avessi avuto anch’io il 15 ….

 

29 agosto 2009