Papà Focesi e la sua "Gloria"

 

L’angolo tra viale Abruzzi e via Donatello è stato per cinque anni, dall’ottobre del 1948 al giugno del 1953, il nostro punto di ritrovo mattutino prima di andare a scuola. Scendevo di casa intorno alle otto, passavo velocemente dalla Libera, la panettiera sotto casa, compravo la merenda per metà mattina: un "pan de mèj" (tortina di pane di miglio) oppure un pezzo di pane con l’uva o una bitorzoluta "cremonese" e poi attraversavo viale Abruzzi e, al solito angolo, aspettavo Franco, Luca, Aldo e Biancamaria. La compagnia era quanto più eterogenea si potesse immaginare: mio padre campava montando le biciclette per la Traldi, il papà di Franco e Luca era ingegnere, impiegato alle Ferrovie dello Stato, il papà di Aldo faceva il tipografo, il papà di Biancamaria era vigile urbano e la mamma conosceva quasi tutti i sederi del quartiere perché andava a fare le iniezioni a domicilio.

Il percorso per andare a scuola era sempre quello: un tratto di viale Abruzzi, via Sansovino, piazza Bernini con uno sguardo alla chiesa di San Giovanni in Laterano, attraversamento con vigile urbano di viale Romagna e ingresso alla mitica Leonardo da Vinci. Bambine in grembiule bianco con stemma sul cuore e tondo colletto amaranto, bambini idem ma con grembiulino nero. In terza i maschi, diventati ormai grandi, abbandonavano il grembiule e indossavano pantaloncini e maglione grigio con tanto di stemma e cravatta amaranto.

Durante il tragitto avevamo due soste obbligate. La prima al numero civico 42 di viale Abruzzi per vedere le tre vetrine illuminate dentro le quali erano esposte altrettante meravigliose biciclette "Gloria" e la seconda, all’inizio di via Sansovino, per vedere i cartelloni del cinema Abruzzi, due film cento lire. La sosta davanti ai cartelloni era sempre piuttosto lunga: noi maschietti eravamo affascinati dalle grazie platinate di Lana Turner, dai capelli neri e dagli occhioni di Hedy Lamarr ma soprattutto dai capelli rossi di Rita Hayworth della quale venivano raccontate cose da leggenda. Biancamaria stravedeva per i baffetti birboni di Clark Gable, il sorriso furbino di Cary Grant, la compostezza di Gary Cooper e la simpatia di quel lungagnone impacciato di James Stewart.

Una mattina Biancamaria ci annunciò: "Da oggi viene con noi anche la nipote della ‘Gloria’: è in classe con me". La nipote della "Gloria" non era nient’altro che la nipote di Alfredo Focesi, il fondatore della famosa fabbrica di biciclette.

La Focesi, così la chiamavamo perché allora, a scuola, era normale l’uso del cognome, era una ragazzina minuta ma dai lineamenti molto fini: capelli neri, corti e occhi neri e vivaci che ti trapassavano. Mi piaceva e molto. Un giorno, passando davanti ai cartelloni del cinema Abruzzi, ci fermammo colpiti: una Silvana Mangano giovane e prorompente, vestita da mondina, faceva un’ottima pubblicità a "Riso amaro".

La nipote di Alfredo Focesi esclamò: "Mamma mia, com’è bella!" Non so dove trovai il coraggio, mi sentii avvampare ma venni fuori con: "Ma va, Focesi! Tu sei molto più bella della Mangano". La ragazzina sorrise, sicuramente meno imbarazzata di me.

Non andai oltre anche perché poi ci perdemmo di vista: le scuole medie in sedi diverse operarono il distacco con molti amici delle elementari. Mi restò comunque nel cuore, forse più della ragazzina, il fascino delle biciclette "Gloria" e della loro storia che era anche la storia di Alfredo Focesi.

L’attività in campo ciclistico di Alfredo Focesi inizia prima della guerra 1915-18 come collaboratore di un campione dell’epoca che aveva aperto un negozio. All’inizio degli eventi bellici, Focesi rileva il negozio e, dopo la guerra, alla quale aveva partecipato con onore, inizia a pieno ritmo la sua attività. Sportivo appassionato e imprenditore moderno e creativo, all’inizio del 1922, da un modesto capannone di legno di 90 metri quadrati sito in via Scarlatti, fa uscire la prima bicicletta "Gloria". Il nome è certamente immodesto ma di buon auspicio: le biciclette "Gloria" si affermano subito in modo clamoroso e, anche se la produzione è ancora limitata, già alcuni dilettanti di fama vincono usando i gioielli di Focesi.

Nel 1923 abbiamo l’affermazione definitiva. Le richieste sono tantissime e il piccolo capannone deve essere ampliato. Ben trentasette sono le vittorie in gare dilettantistiche e, tra queste, la più prestigiosa è quella conseguita da Libero Ferrario che, a Zurigo, conquista il titolo mondiale dilettanti su strada.

I campioni della "Gloria" corrono solamente per passione, non percepiscono stipendi ma solo premi in caso di vittoria. Alfredo Focesi è buono e, nei limiti del possibile, munifico. Tratta molto bene sia i suoi dipendenti sia i suoi corridori. Tutti gli vogliono bene tanto che cominciano a chiamarlo "papà Focesi".

La fortunatissima azienda deve perfino rinunciare ad ordinazioni, non essendo in grado di soddisfare tutte le richieste. Sono indispensabili nuovi impianti.

Nel 1926 viene inaugurato il nuovo e moderno stabilimento di viale Abruzzi, a cento metri dalle grandi officine della Bianchi. Il nuovo moderno capannone nasce nel cortile dello stabile contrassegnato dal numero civico 42. In quello stesso stabile vengono ad abitare anche i Focesi: casa e lavoro.

Nel 1929, papà Focesi non resiste al desiderio di formare una squadra di ciclisti professionisti. Le bici sono di uno splendido grigio satinato, le maglie sono grigie con fascia blu, come quelle dell’Atala, vincitrice dell’unico Giro d’Italia corso a squadre quando Alfredo Focesi era giovanissimo.

All’esordio della Milano-Sanremo, i corridori di papà Focesi affrontano la corsa con tale baldanzoso impeto che qualche giornalista li definisce "i garibaldini". I "garibaldini", con la loro generosità in corsa, diventano i beniamini degli sportivi che amano il loro modo di correre spregiudicato e battagliero.

Papà Focesi è fiero dei suoi corridori e, su tutte le sue bici, nella parte anteriore del tubo orizzontale, all’interno di una zona triangolare blu filettata in giallo oro, fa apporre la scritta "La Garibaldina".

Già nel 1929 il "garibaldino" Mario Bianchi vince la Orvieto-Siena del Giro d’Italia. Nel 1930 Ambrogio Morelli (se non ricordo male nonno di Giuseppe Saronni) è quarto nella classifica finale di quel Giro orfano di Alfredo Binda, pagato per starsene a casa per manifesta superiorità.

Il 1931 è l’anno del trionfo al Giro con la vittoria finale di Francesco Camusso.

Negli anni ’30 la "Gloria" vince anche una Milano-Sanremo con Varetto, due giri di Toscana con Caimmi e Piemontesi e due giri di Lombardia con Mollo e Piemontesi.

Nel 1938 la "Gloria" si presenta al Giro come "Gloria-Ambrosiana" e la fascia sul petto non è più blu ma nera e azzurra a strisce verticali, non si sa se per un accordo commerciale con l’Ambrosiana-Inter o se per semplice ammirazione della squadra di Meazza. Camusso, Canavesi, Varetto, Macchi, Rogora, Gualberto, Introzzi sono i suoi campioni, ai quali si aggiunge un toscano piccolo di statura ma grandissimo per agonismo: Ezio Cecchi, lo scopaio di Monsummano.

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Poi arriva la tragedia della seconda guerra mondiale. Dal 1941 al 1943 Alfredo Focesi aiuta come può diversi corridori come Canavesi, Cristofori, Zuccotti. Nel 1941 corrono per la "Gloria" due siciliani saliti al nord per fare i ciclisti professionisti: Mario Fazio e Giovannino Corrieri.

Finalmente finisce la guerra, papà Focesi non torna alle competizioni. Il lavoro nel capannone di viale Abruzzi 42 aumenta a vista d’occhio: la bicicletta è il mezzo di trasporto più diffuso. Intorno al 1950 la "Gloria" produce 25 mila biciclette l’anno: uomo, donna, corsa, bambino.

Da Focesi imparano il mestiere prima Faliero Masi e poi Ernesto Colnago. Colnago arriva come aiutante saldatore nel 1945, non ha ancora i quattordici anni previsti dalla legge e si modifica la data di nascita. Il giovane Ernesto da Cambiago comincia a correre per il colori dell’Aurora Desio. Nel 1951 partecipa alla Milano-Busseto, cade e si rompe una gamba: 60 giorni di gesso. Papà Focesi gli manda le ruote da montare a casa. Nel 1952 Colnago si mette in proprio.

In questi anni la "Gloria" è considerata una bicicletta d’elite, la Lancia delle biciclette. Un esempio è rappresentato dalla finitura delle congiunzioni: nei modelli marchiati "La Garibaldina" le congiunzioni vengono sottoposte ad una particolare limatura per la quale l’operaio impiega dalle tre alle quattro ore mentre nei modelli normalmente in commercio il tutto si risolve in mezz’ora di lavoro.

Oltre alle tre vetrine di viale Abruzzi, papà Focesi apre un bellissimo negozio con otto-dieci vetrine in corso Buenos Ayres, all’angolo con via Scarlatti. La gente passa e non può non fermarsi ad ammirare quei preziosi gioielli. Per me fermarmi un quarto d’ora è normale e vado in sollucchero per i modelli da corsa.

Ma gli anni passano. L’ultima bici da corsa vista in quella vetrina di corso Buenos Ayres costa 39.900 lire, manubrio Ambrosio, Sella Aquila, tubolari Pirelli, freni Universal, Cambio Campagnolo Gran Sport. Corre l’anno 1956. Poco dopo viene diminuito il numero delle vetrine, poi il negozio si riduce a due luci, poi chiude definitivamente: la favola della "Gloria" è finita.

Dopo qualche mese il grande negozio di corso Buenos Ayres angolo Scarlatti diventa una grande esposizione di pellicce: siamo in pieno "boom" economico.

 

8 marzo 2010