Bartalino

 

5 maggio, anniversario della morte di Gino Bartali. Quanta nostalgia! Quanti ricordi!

Per caso, riordinando foto e ritagli di giornale, mi è capitato tra le mani un articolo di Orio Vergani dal titolo "Bartali conquista la maglia gialla". E’ un articolo datato 23 luglio 1938. Il giorno prima, sul traguardo "amico" di Briancon, Gino era arrivato solo con 5’18" di vantaggio su Mario Vicini e aveva tolto la maglia gialla al belga Felicien Vervaecke. Otto giorni dopo il campione di Ponte a Ema avrebbe vinto, all’età di ventiquattro anni, il suo primo Tour con diciotto minuti e mezzo sullo stesso Vervaecke, vendicandosi così del Tour perso l’anno prima per la famosa caduta nel torrente. Sono tutte cose raccontate più volte e gli appassionati di ciclismo sicuramente le conoscono bene. Quello che non tutti sanno è che, nei suoi primi anni di professionismo, il giovane Gino, veniva affettuosamente chiamato "Bartalino" e anche Orio Vergani, nel suo articolo, lo chiama così.

"Bartalino", un vezzeggiativo che stona decisamente se pensiamo al Ginettaccio polemico e brontolone del "gli è tutto sbagliato, tutto da rifare" così come lo ricordiamo nel dopoguerra. Però, se andiamo ad esaminare certi fatti, ci accorgiamo che, anche quando veniva chiamato "Bartalino" era già di carattere un Ginettaccio.

Proprio al Tour del 1938 i belgi che difendevano in tutti i modi la maglia gialla di Vervaecke, in una tappa di montagna, non trovarono di meglio che rompere delle bottiglie di vetro davanti alle ruote di Bartali. Lo scherzo, ripetuto più volte, costò a Gino tre o quattro forature e la maglia gialla sparì all’orizzonte con il suo seguito di guardie del corpo. Bartalino-Ginettaccio non si perse d’animo e, quando gli capitò a tiro l’auto di Jacques Goddet, patron del Tour, si aggrappò ad una portiera e l’apostrofò più o meno così: "Te, tu, patron, se ‘un mi porti subito su que’ birbanti torno ‘n albergo, faccio le mi’ valige e me ne vo a casa". Goddet trascinò Gino sui belgi e Gino vinse il Tour. Ma adesso lasciamo spazio a Orio Vergani.

S090F.jpg (154860 byte)

 

Bartali conquista la maglia gialla di Orio Vergani 23 luglio 1938

Il traguardo di Briancon è sembrato il traguardo di una corsa italiana. Vicine le Alpi di casa nostra, assiepata sotto lo striscione giallo una folla per una buona metà italiana – e questa buona metà faceva un chiasso felice che dava alla scena una voce italianissima – e, uno dopo l’altro, uno, due, tre, quattro, cinque corridori italiani. Cinque italiani tra i primi sei arrivati: è una percentuale record. In tanti anni da quando si corre il Tour de France per squadre nazionali non si era mai verificata una simile affermazione individuale e di squadra. Non c’è due senza il tre: diceva qualcuno alla partenza del Tour., ricordando che i colori italiani avevano già trionfato innanzi al pubblico francese, con calciatori azzurri nel Campionato del mondo e con Nearco nella maggiore prova d’ippica Non c’è due senza il tre. S’intendeva dire che c’erano tutte le buone intenzioni per vincere anche la più grande prova ciclistica del mondo: il Giro di Francia. Questa sera, benché manchino ancora sei tappe per giungere a Parigi, si può dire che il Giro di Francia è vinto. Gino Bartali, detto affettuosamente Bartalino, ha conquistato la maglia gialla con un vantaggio in classifica di diciotto minuti all’incirca. Qui, dove l’anno passato arrivava solo per un miracolo di buona volontà, vinto dalla caduta che gli avrebbe fatto perdere la maglia gialla, il corridore toscano ha vinto oggi con una schiacciante, travolgente, invincibile superiorità. Per lui, mentre solo come un falco vinceva l’estrema altezza dell’Izoard, nell’aria rarefatta sospesa sopra l’immensa solitudine del mondo alpestre, si è verificato quello che finora non si era mai verificato in nessuna corsa ciclistica: tutta la carovana in piedi sulle automobili affaticate che lo seguivano, applaudiva senza interruzione all’eccezionale spettacolo dell’atleta che dopo una giornata di orrende fatiche, solo, senza un sorriso, senza mutare in nulla l’espressione perennemente assente dal suo volto, correva infaticabile sempre più sicuro e più agile verso la vittoria. Applaudivano i suiveurs, i competenti, gli autisti, i meccanici, i giornalisti di ogni Paese: anche quelli che fino a ieri sera avevano fatto il tifo più violento per i corridori delle loro squadre. Così, seguito da questo applauso che voleva dire l’entusiasmo di tutti, anche dei vinti, l’atleta compiva una gesta di cui non si ritrova forse somiglianza negli annali del Tour, se non si ritorna con la memoria alle prove di un altro italiano, Ottavio Bottecchia.

 

5 maggio 2010