Il nanone

 

Gianni Brera lo chiamava "il nanone" e, in effetti, Jean Robic aveva tutto del nano: le gambette corte e ossute con le vene varicose d’ordinanza, la testona sproporzionata rispetto al resto del corpo, il viso rugoso da vecchio precoce, i capelli radi. Aveva tutto del nano tranne una cosa: l’altezza. Era alto un metro e niente però troppo per essere un nano. Insomma, era un nano … gigantesco.

Ebbi l’occasione di vederlo da vicino alla partenza della Milano-Sanremo del 1957. Il raduno era stato fissato al castello Sforzesco in una mattina freddissima. Avevo il cappotto ma battevo i denti lo stesso come tutti gli appassionati che si accalcavano per le vie del centro; forse la temperatura era scesa sotto lo zero. Mi ero appostato in piazza Cordusio e avevo visto sfilare tutto il gruppo, quando, in mezzo alle auto del seguito, vidi passare lui, Jean Robic. Pareva un bambino sulla sua biciclettina dalle ruote enormi, la faccia da vecchietto e il casco in testa; la maglia rossa e blu della Essor-Leroux sembrava troppo grande per lui. Quel "bambino" andava per i trentasei avrebbe corso ancora per quattro anni.

Robic era un concentrato di nervi e combattività. Combattè contro giganti del ciclismo come Bobet, Koblet, Kubler, Magni, Bartali e Coppi in una specie di eterna lotta tra Davide e Golia, nella quale il Davide tascabile soccombeva sempre ma ricominciava sempre da capo. Robic era un attaccante nato, scattava una, venti, trenta volte sino allo sfinimento.

I francesi lo adoravano e l’avevano soprannominato "Biquet", capretto, per le sue doti di scalatore. In Italia era "testa di vetro" perché, nei primi anni di carriera, aveva rischiato la vita per una spaventosa caduta in cui aveva battuto violentemente il capo. Per questo motivo portava sempre il casco. Per il suo spirito battagliero a oltranza qualcuno in gruppo, a volte, sostituiva "vetro" con un altro termine.

Jean Robic nacque a Vouziers nelle Ardenne il 10 giugno 1921. Passò però la giovinezza a Radenac, un paesino di cinquecento abitanti in Bretagna, ed evidentemente dai bretoni acquisì la testardaggine. Passò professionista durante la guerra e si legò fino al 1949 ad una squadra il cui nome era tutto un programma: Genial Lucifer.

Il nome di Robic balzò prepotentemente alla notorietà in occasione del primo Tour del dopoguerra. Era il 1947 e molti campioni, tra i quali Coppi e Bartali, non parteciparono. Pareva giunta finalmente l’ora di vedere il vecchio Renè Vietto, capofila dei nazionali di Francia, indossare la maglia gialla al Parco dei Principi. Vietto, infatti, indossò il segno del primato per ben quindici tappe ma alla terzultima andò in crisi e, a sorpresa, balzò in testa alla classifica l’italiano Pietro Brambilla. Brambilla conservò il primato nella penultima tappa con un vantaggio di circa un minuto sull’altro italiano Aldo Ronconi. Ormai era fatta! Invece, nell’ultima tappa, i regionali francesi si allearono con la nazionale biancorossoblu e i belgi, attaccarono su una salitella e staccarono irrimediabilmente Brambilla e Ronconi. Fu così che Robic, inseritosi nel gruppo dei fuggitivi, infilò la maglia gialla sopra quella bianca bordata di rosso dei regionali dell’Ovest. Robic, convinto di dovere la vittoria all’intercessione di Sant’Anna, patrona dei Bretoni, offrì la maglia alla Santa nella basilica di Sainte-Anne-d’Auray. I giornali italiani accusarono belgi e francesi di complotto ai danni della nazionale italiana e giunsero persino ad ipotizzare una connivenza dello stesso Brambilla. La cosa non fu mai chiarita però, alcuni mesi dopo, Pietro Brambilla ottenne la cittadinanza francese e divenne Pierre Brambillà.

La popolarità di Robic salì alle stelle e divenne il beniamino degli sportivi francesi. Nel Tour dell’anno successivo venne chiamato a guidare la nazionale francese però fu subito soppiantato dall’astro nascente Louison Bobet. Lo strapotere di Bartali mise tutti d’accordo: il giovane Louison cedette nella seconda parte del Tour e il "Biquet" fu solo sedicesimo. Nel 1949, più battagliero che mai, accettò una sfida impossibile: primo Coppi, secondo Bartali, terzo il piccolo Jacques Marinelli, quarto l’ancor più piccolo Robic a trentacinque minuti da Coppi. La prestazione del 1949 fu rimarchevole se consideriamo che Fiorenzo Magni, sesto, accusò un distacco di quasi tre quarti d’ora. Dodicesimo nel 1950, ventisettesimo nel 1951, tornò a brillare nel 1952: quinto a trentacinque minuti da Coppi. Evidentemente la presenza di Fausto stimolava il piccolo scalatore bretone a dare il meglio di se stesso. Il quinto posto al Tour del 1952 segnò però l’inizio del declino. Nei tre Tour successivi si ritirò sempre. Nel 1959, dopo tre anni di assenza, si schierò ancora al via della grande boucle ma, ormai, a trentanove anni era giunto al capolinea. Si ritirò ancora.

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Partecipò ad un solo Giro d’Italia, quello del 1950. Vestiva la maglia azzurrogialla della Viscontea diretta da Tano Belloni. A Vicenza, al termine dell’ottava tappa era ottavo in classifica a sei minuti dalla maglia rosa Koblet. Davanti a lui c’erano Martini, Schaer, Coppi, Bresci, Magni e Bartali. Il Giro sarebbe praticamente incominciato nella tappa successiva, la Vicenza-Bolzano, la tappa delle Dolomiti. A Primolano terminò il Giro di Coppi. La notizia della caduta di Fausto scosse la carovana e in modo particolare Bartali. Il vecchio Gino era sull’orlo del ritiro: aveva un polso dolorante e soffriva anche per una cistite; a Vicenza aveva orinato sangue. Gli dissero: "Tieni duro, Gino. Senza Fausto e senza te che Giro sarebbe? Stringi i denti!". E Gino strinse i denti. La lotta cominciò su e giù per le montagne. Quattro furono i primattori: Bartali, Koblet, Kubler e Robic che, per l’occasione, non aveva indossato il casco. Il "Biquet" passò primo sul Rolle, seguito da Koblet, Vittorio Rossello e Cecchi, a mezzo minuto i nasi di Bartali e Kubler. In fondo alla discesa passarono in testa Bartali, Robic, Rossello e Cecchi, a due minuti inseguivano tre svizzeri: Schaer, Kubler e Koblet che aveva forato due volte. Pioggia e fango martoriavano gli atleti. In vetta al Pordoi passò primo l’indomabile Robic, seguito da Koblet, che era rinvenuto fortissimo, Bartali e Rossello. In vetta al Gardena, tra vento, pioggia e nevischio, Bartali guidava la corsa, seguito da Robic, Rossello, Koblet e Kubler. I quattro di testa si buttarono a capofitto in discesa verso il traguardo di Bolzano. A dieci chilometri dall’arrivo accadde l’imprevedibile: Robic fu colto da una crisi. Forse la sua generosità l’aveva tradito; fu una "cotta" tremenda: in dieci chilometri perse un quarto d’ora e precipitò al sedicesimo posto in classifica con quasi venti minuti di distacco dalla maglia rosa Koblet. Una notte di riposo fu sufficiente al testardo bretone e nella Trento-Milano diede battaglia addirittura in pianura giungendo sesto al Vigorelli. Due giorni dopo, nella Ferrara-Rimini, Robic fu coinvolto in una caduta nei pressi di Cervia, picchiò la testa sull’asfalto, il dottor Campi, medico del Giro, gli applicò tre punti metallici e lo consigliò di ritirarsi. Il piccolo bretone risalì in bicicletta e, aiutato dai suoi compagni di squadra, recuperò sei minuti di ritardo rientrando in gruppo alle porte di Rimini. Il giorno successivo, dopo una notte insonne, volle prendere il via ugualmente ma, dopo qualche chilometro fu costretto al ritiro.

Il suo carattere di combattente lo portò diverse volte a "cotte" spaventose. Esiste un memorabile filmato girato al Tour in cui lo si vede, in preda ad una profonda crisi, salire a zig-zag percorrendo inesistenti tornanti.

Robic era un eclettico. Era bravissimo nelle gare dietro motori. Forse le sue piccole dimensioni gli consentivano di ripararsi molto bene dal vento. Si impose in una Roma-Napoli-Roma, una gara a tappe in cui il finale di ogni frazione veniva corso dietro motoleggere.

Il suo peso limitato gli consentiva di … galleggiare sul fango per cui primeggio nel ciclocross e vestì la maglia iridata nel primo campionato mondiale della specialità, svoltosi a Parigi nel 1950.

Robic era un "rompiscatole" battagliero ma leale. Era rispettato da tutti ed amico dei grandi campioni, Coppi e Bartali in primo luogo. Al Tour del 1950, nella giornata del Col d’Aspin, difese dalla folla il suo amico Gino, tolse la pompa dal telaio e si mise a rotearla in aria, fu anche fatto cadere e Walter Molino, per la Domenica del Corriere, immaginò un disegno nel quale si vedeva una folla scalmanata con Gino a terra assieme a Robic con la maglia bianca bordata di rosso dei regionali dell’Ovest.

Jean Robic morì il 16 ottobre 1980 in un incidente stradale. Non aveva ancora sessant’anni.

 

21 novembre 2010