Alfredo Martini: quel giorno in maglia rosa

 

Penso che il ciclismo, come molti altri sport, si presti ad essere interpretato, vissuto e giudicato in mille modi diversi. Possiamo notare infatti come i giudizi sui vari interpreti nell’arco degli anni siano stati e siano ancora diversi e variegati: Girardengo e Binda, Binda e Guerra, Bartali e Coppi,e così via fino a Merckx e Gimondi e, a Moser e Saronni, eccetera, eccetera, eccetera.

Penso però che tutti la pensino allo stesso modo su un grande personaggio del ciclismo: Alfredo Martini.

Il suo albo d’oro conta solo una decina di vittorie delle quali solo pochissime di una certa importanza: il Giro dell’Appennino del 1947, il Giro del Piemonte del 1950, una tappa del Giro sempre nel 1950 e, per ultima, una tappa del Giro della Svizzera del 1951.

Nato il 18 febbraio del 1921 a Firenze, Martini cominciò a correre tra i professionisti, assieme all’amico Fiorenzo Magni, con la maglia della Bianchi. Gli eventi bellici ostacolarono non poco l’inizio della sua carriera che cominciò praticamente nel 1946 con la maglia viola e bianca della Welter. Il venticinquenne Alfredo si classificò nono nel Giro d’Italia della rinascita vinto da Bartali. Nella corsa rosa dell’anno successivo, vinto da Fausto Coppi, la Welter piazzò tre corridori nei primi sei: terzo Giulio Bresci, quarto Ezio Cecchi e sesto Alfredo Martini. Nel 1948 passò alla Wilier Triestina del suo amico Magni, aiutandolo a vincere inopinatamente il Giro. Come l’anno prima la Welter, così la Wilier riportò un grande successo di squadra: primo Magni, terzo Cottur e decimo Martini. Assente Magni, nel Giro d’Italia1949 la Wilier Triestina puntò ancora su Cottur e Martini che chiusero al terzo e sesto posto. Nella mitica Cuneo-Pinerolo, Martini giunse terzo dopo Coppi e Bartali. La sua naturale predisposizione per le corse a tappe gli valse un buon contratto con la Taurea per il 1950. Con i quattrini dell’ingaggio comprò casa a Firenze. La Taurea scelse l’uomo giusto perché Alfredo fu terzo dietro Koblet e Bartali nella classifica finale del Giro, davanti a corridori del calibro di Ferdy Kubler e Fiorenzo Magni. Martini si dimostrò ancora una volta uomo squadra dal momento che il suo compagno Luciano Maggini fu quinto nella classifica finale.

Il 1951 non fu un anno molto felice. Dopo il quinto posto di Astrua al Giro, la Taurea chiuse i battenti e Martini fu costretto a cercarsi altri contratti. Ferdinando Tagliabue se lo riportò volentieri alla Welter fino al 1953 in qualità di … corridore-regista. Nel 1954 l’Atala, e la sua sottomarca Lygie, lo vollero per cercare di dare una guida al talentuoso Loretto Patrucci. Martini non riuscì nell’impresa perché Petrucci era un corridore difficilmente gestibile e, inoltre, non molto gradito a Fausto Coppi. Fu così che tornò con l’amico Magni. Fu compagno di squadra e consigliere di Fiorenzo il Magnifico nel 1955 e 1956. Nel 1957, appesa la bicicletta al chiodo, Magni divenne direttore sportivo della Chlorodont e Martini corse l’ultima stagione della sua carriera sotto le insegne del dentifricio, contribuendo alla vittoria di Gastone Nencini al Giro d’Italia.

Alfredo Martini, insomma, una vita da mediano!

Se come corridore il grande Alfredo è stato un "mediano" di grande utilità, come commissario tecnico è stato un vero e proprio "bomber" ed è andato in gol con Francesco Moser, Giuseppe Saronni, Moreno Argentin, Maurizio Fondriest e Gianni Bugno, autore di una splendida doppietta.

Quanti ricordi per il grande Alfredo!

Ma vogliamo ricordare quel suo bellissimo e unico giorno in maglia rosa? Era il 1950 ed era partito da Milano con i gradi di capitano della Taurea, la nuova formazione torinese diretta da patron Graglia. Gli altri sei corridori in maglia gialloblu erano i fratelli Vittorio e Vincenzo Rossello. Il veloce Luciano Maggini, Franco Franchi, Ugo Fondelli e la giovane speranza Giancarlo Astrua.

Quello del 1950 fu un Giro dal percorso particolare. Per festeggiare l’anno santo partì da Milano e si concluse a Roma con il tappone dolomitico alla nona tappa. Tutti pensavano all’ennesimo duello Bartali-Coppi con Fausto favorito dopo lo strepitoso 1949. Gli outsiders erano Magni, Bevilacqua, Leoni, Ronconi, Ortelli, Bresci, Cecchi, Martini e i giovani Astrua e Fornara. Gli stranieri non avevano molto credito ad eccezione di Ferdy Kubler in maglia Frejus e Jean Robic in maglia Viscontea. Nessuno concedeva fiducia allo svizzero Hugo Koblet, elegante ma fragile, tanto che, tra i giallorossi della Guerra, ricevevano più consensi il belga Dupont, i fratelli svizzeri Weilenmann e addirittura Olimpio Bizzi, il "morino" di Livorno, giunto ormai all’ultimo anno di carriera.

Mio padre, da qualche anno, tirava avanti la famiglia montando le biciclette per la ditta Traldi. Erano biciclette di un certo pregio, ottimamente rifinite, e la ditta aveva avuto un notevole sviluppo. Nel capannone di viale Lombardia assemblavano i telai, li verniciavano e poi li portavano da papà con i vari accessori per il montaggio. Visto il successo delle sue bici, Traldi aveva addirittura accarezzato l’idea di formare una squadra professionistica. Poi non se ne fece nulla ma, nel frattempo, fece fare le maglie dell’ipotetica squadra, azzurre con fascia gialla come la Viscontea e la scritta "Traldi" con una "T" che anticipò di qualche anno quella della Torpado. Papà era grande appassionato di ciclismo e bartaliano con moderazione, andava spesso a vedere le corse e seguiva con attenzione particolare il Giro e il Tour.

La prima tappa del Giro d’Italia 1950, da Milano a Salsomaggiore, vide la fuga di un gruppetto che venne battuto in volata dal veloce Oreste Conte della Bianchi, davanti al compagno di squadra Keteleer ed al vecchio Olimpio Bizzi.

Il giorno successivo, nella Salsomaggiore-Firenze, un manipolo di ardimentosi andò in fuga e Alfredo Martini colse l’unica vittoria al Giro proprio a casa sua. Secondo fu il piccolo svizzero Fritz Schaer che così infilò la maglia rosa sopra quella blu-arancio della piacentina Arbos di Armani e Boselli.

Schaer tenne la maglia per alcune tappe ma, alla settima, la Locarno-Brescia, andò in crisi e venne attaccato da un gruppetto di corridori tra i quali si infilò Martini. Alfredo forò e, con l’aiuto del compagno di squadra Luciano Maggini, rientrò nel gruppetto di testa. Tirò la volata a Maggini che vinse davanti a Giorgio Albani. Lo speaker annunciò: "Alfredo Martini nuova maglia rosa". Era il 31 maggio 1950.

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Quella sera papà portò a casa il "Corriere d’informazione", quotidiano del pomeriggio, e, in prima pagina, erano riportate le notizie del Giro con una foto della nuova maglia rosa. Mia madre diede un’occhiata e disse: "Però, questo Martini è proprio un bell’uomo". Al giorno d’oggi sarebbe stato usato il termine "figo" ma allora non era ancora di moda e, anche se lo fosse stato, mia madre non l’avrebbe mai usato.

Papà, invece, fece un apprezzamento tecnico: "E’ veramente un corridore molto elegante. L’ho visto l’anno scorso alla Bernocchi e mi è piaciuto molto: ottima pedalata, bello stile. Se Traldi decide di fare la squadra gli propongo senz’altro Martini".

La bella maglia rosa di Martini durò l’arco di una giornata. Fu imbrattata dalla pioggia e dal fango nella Brescia-Vicenza, tappa vinta da Hugo Koblet che conquistò anche in via definitiva le insegne del primato.

Quella sera la prima pagina del "Corriere d’informazione" recava la foto del biondo svizzero. Mia madre commentò la vicenda più a meno così: "Mi spiace proprio che Martini abbia perso la maglia. Beh, però … anche questo Koblet non è per niente male".

 

25 febbraio 2011