Le "gambe anonime" del gregario Salimbeni

 

A ottantanove anni passati se ne è andato un altro dei grandi gregari dell’epoca d’oro del ciclismo italiano: Virgilio Salimbeni.

Nato a Lainate, dalle parti di Legnano, nel maggio del 1922, ebbe, come tutti i suoi coetanei, la carriera "frenata" dalla guerra, infatti approdò al professionismo alla non più verdissima età di ventisei anni

Nel 1947 si era messo in luce classificandosi secondo al campionato italiano dilettanti dietro Alfo Ferrari, futuro campione del mondo, e vincendo il Trofeo Matteotti. Eberardo Pavesi, il mitico "avocàtt", non se lo fece sfuggire e lo portò alla Legnano all’inizio del 1948 per dare una mano a Bartali. Gli altri "ramarri" al servizio del trentaquattrenne Gino erano Leo Castellucci, Giovannino Corrieri, soffiato sul filo di lana alla Wilier Triestina di Fiorenzo Magni, Adolfo Leoni, il velocista della squadra, Mariolino Ricci e i fratelli Vincenzo e Vittorio Rossello.

Salimbeni accettò volentieri l’offerta di Pavesi per due motivi: la Legnano era vicina a casa e poi sapeva che Bartali era solito lasciare una certa libertà ai suoi gregari perché, giunti nel vivo della corsa, preferiva sbrigarsela da solo.

Effettivamente, quando Gino gli dava via libera o quando erano assenti gli assi, Salimbeni, senza impegni di gregariato, sapeva diventare protagonista. Già nel 1948, al primo anno di professionismo vinse un circuito in Francia, una tappa del Giro del Belgio per indipendenti, una tappa del Giro di Lorena sempre per indipendenti, la Milano-San Pellegrino e la Coppa Bernocchi. La Coppa Bernocchi, che si correva sulle sue strade, quell’anno fu disertata dai grossi calibri e Mario Fossati, nel commento alla gara, stigmatizzò l’assenza dei campioni parlando di una corsa per "gambe anonime". La corsa, svincolata dai soliti schemi, fu combattutissima ed interessante. Sul Brinzio fuggirono in nove e tra loro Salimbeni. Il forcing del "ramarro" provocò il cedimento di cinque corridori. Sul traguardo di Legnano, praticamente a casa sua, Salimbeni vinse con due macchine di vantaggio su Cargioli, Castellucci e Simonini.

Mario Fossati concluse il suo articolo con queste parole: "Salimbeni, che era un poco il rappresentante di queste gambe anonime, ha insegnato loro la strada".

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Nel 1949, dopo tredici anni di felice collaborazione, Bartali lasciò la Legnano per mettersi in proprio. Salimbeni restò in verdeoliva un po’ per riconoscenza e un po’ perché bisognava dare una mano al velocista Leoni oltre a fare crescere i giovani rampanti Minardi, Soldani e Fornara. Pavesi gli concesse comunque qualche "libera uscita". Vinse il Giro del Lazio in cinque tappe. Erano assenti gli assi ma la concorrenza vantava Ezio Cecchi, Guido De Santi e Giancarlo Astrua.

Nell’anno d’oro di Coppi, vinse anche il circuito di Zurigo e una tappa del Giro dei Tre Mari ma il suo capolavoro fu il trionfo nel Giro dell’Emilia. Era il 18 settembre, Coppi e Bartali erano impegnati nel Gran Premio delle Nazioni a cronometro. Salimbeni doveva fare la corsa per Soldani e Fornara, i due gioiellini di casa Legnano. Il gruppo restò compatto per buona parte della corsa ma, dopo Castel San Pietro, dove iniziava la strada sterrata, avvenne la selezione.

Il plotone si frazionò e in testa restarono tre uomini: Fornara, Carrea e Salimbeni. Fornara era il giovane della Legnano cui Salimbeni doveva prestare aiuto mentre Sandrino Carrea, indimenticabile ombra di Coppi in salita, aveva avuto via libera per l’assenza del capo.

Salimbeni, per favorire la corsa del suo capitano Fornara, scattò secco all’inizio della Raticosa mentre Pasqualino restò passivo alla ruota di Carrea. In vetta alla salita, Salimbeni aveva circa un minuto sui due ex compagni di fuga, un minuto e mezzo sull’altro suo capitano Soldani e oltre due minuti sui più vicini inseguitori. Mancavano più di cinquanta chilometri al traguardo. Pavesi, che avava fiutato aria di vittoria, impose allo scalpitante Fornara di trasformarsi in gregario marcando stretto Sandrino Carrea. L’angelo di Coppi fu anche bersagliato dalla sfortuna: ruppe il cambio e alcuni raggi della ruota posteriore.

La passerella trionfale di Virgilio Salimbeni si concluse sul traguardo di Bologna e nella sua scia l’avocàtt, in piedi sul "Norge" gongolava con la pipa in bocca. I primi inseguitori, Pagliazzi, Pedroni, Fondelli, Rossi, Soldani, Castellucci, Selvatico, Bonini, Carrea, Carollo, Ridolfi e Fornara, giunsero con quattro minuti di distacco, gli altri fecero registrare ritardi tra i sette minuti e il quarto d’ora. Le "gambe anonime" di Salimbeni avevano colpito duro.

Nel 1950 Salimbeni non andò oltre qualche piazzamento ma il suo lavoro di gregario fu tanto apprezzato che Bartali e Magni lo vollero nella squadra italiana al Tour, quel Tour che purtroppo finì malamente per i fattacci del Col d’Aspin.

Sempre nel 1950 si meritò la maglia azzurra ai mondiali.

Nel 1951, ancora alla corte di Pavesi, riportò solo qualche piazzamento ma ebbe l’onore di correre il Tour: 54° dopo avere aiutato Bartali, Magni e un Coppi in crisi pochi giorni dopo la tragica morte di Serse.

Nel 1952 Magni, che lo apprezzava da sempre, riuscì a portarlo con sé alla Ganna dove rimase due anni e, con la maglia bianco blu della casa varesina, vinse una tappa del Giro di Sicilia 1953.

Nel 1954 seguì Magni alla Nivea-Fuchs, primo esempio di abbinamento extra-ciclistico.

Nel 1955, a trentatre anni, le gambe di Salimbeni cominciarono a diventare … più anonime. Indossò la maglia dell’Augustea di patron Pulzato e quella della Girardengo prima di appendere la bici al classico chiodo.

Grazie, Virgilio per essere stato un esempio di gregario anche quando eri in … libera uscita.

 

9 novembre 2011