Bartalissimo, 60 anni dopo

 

1° maggio 1952, si corre il Giro dell’Emilia, seconda prova del Campionato Italiano, 299 chilometri molto impegnativi con lo sconfinamento in Toscana per scalare l’Oppio e l’Abetone e successivo rientro in Emilia per superare il Barigazzo. La prima prova di campionato, il Giro di Toscana, è stato vinto a sorpresa da Rinaldo Moresco, ventisettenne ligure di Bargagli, portacolori della piacentina Arbos di Armani e Boselli.

La gara è animata da una fuga iniziale di Francesco Patti di Partitico, classe 1913. Patti è una figura incredibile del ciclismo. Eternamente non accasato, ha iniziato la sua avventura tra i professionisti nel 1937 e la terminerà nel 1956, a quarantatre anni compiuti. Ripreso Patti, vanno in avanscoperta l’alessandrino Alberto Ghirardi, trentuno anni, alfiere dei biancoblu della Benotto, e Marcello Ciolli da Figline Valdarno, classe 1928, portacolori dei grigiorossi della Frejus. Ghirardi fora e Ciolli resta solo in testa. Scollina sull’Oppio con un minuto di vantaggio su un gruppetto trascinato da uno scatenato Fiorenzo Magni mentre il gruppo con Coppi e Bartali passa con tre minuti di ritardo. Ciolli è ancora in testa all’attacco dell’Abetone mentre, dietro, Bartali fora e Coppi allunga. Gino riparte con un diavolo per capello: "L’è proprio destino che l’Abetone dica bene a quello là. Nel ’40, quando l’era mi’ gregario, sull’Abetone l’ha vinto ‘l Giro. Certo che se poi ‘un c’ero io a salvarlo sulle Dolomiti ‘l Giro ‘un lo vinceva miha, lo vinceva Mollo. Però oggi la gamba gira e ora gli faccio vedere io".

Il vecchiaccio ha ragione: oggi la gamba gira. Eccome! Con la sua pedalata nervosa sale a velocità doppia, raggiunge i primi, che hanno ripreso e staccato Ciolli, e, sullo slancio, li pianta in asso. In vetta all’Abetone passa primo con venti secondi su Coppi, Astrua e Minardi. Martini e Zampini sono a due minuti mentre Magni è scivolato a due minuto e mezzo. Emilio De Martino, direttore del settimanale "Lo sport", darà al suo articolo questo titolo: "Quando Bartali passò sull’Abetone la gente pianse".

Tutti pensano che Bartali, dopo la sua dimostrazione di forza sull’Abetone, si rialzi e si faccia raggiungere dai più immediati inseguitori. Bologna è lontanissima. E, invece, non è così. Gino insiste in discesa in una fuga che pare a tutti temeraria e sulla vetta della successiva salita, il Barigazzo, il suo vantaggio è di tre minuti su Coppi e Minardi. Giancarlo Astrua ha ceduto e si trova a quasi cinque minuti in compagnia di Alfredo Martini; Magni, Petrucci e "Bomba" Zampieri sono a cinque minuti e mezzo.

La folla impazzisce. Strano destino quello di Bartali! Gino il pio, il brontolone, l’intramontabile, il vecchiaccio, l’inossidabile, Ginettaccio, è nato nella "rossa" toscana, è religiosissimo, membro dell’Azione Cattolica, terziario francescano, amico di De Gasperi e – si dice – frequentatore del Vaticano eppure, nell’altrettanto "rossa" Emilia, è amatissimo, quasi idolatrato. Quando si dice che lo sport deve essere apolitico e aconfessionale …

Il vecchio campione si butta in discesa disegnando le curve con maestria e rilanciando l’azione con cattiveria. Dietro, Coppi si è messo il casco, come fa quasi sempre dopo la disgrazia del povero Serse, e scende con più prudenza aspettando la pianura. Giuseppe Minardi, detto "Pipaza", romagnolo, ventiquattro anni, sogna di vincere a Bologna davanti a Coppi e Bartali. Minardi indossa la gloriosa casacca verdeoliva della Legnano e, il suo diesse, il grande Eberardo Pavesi, gli raccomanda di collaborare con Fausto ma … con giudizio.

Bologna è lontana e ora c’è tanta pianura. Un leggero vento contrario fa ragionare Ginettaccio: "Madonnina bona, aiutami a decidere per il meglio. Ora l’è tutta pianura, loro sono ‘n due. Minardi l’è ‘n bravo figliolo, l’è giovane, ‘n po’ inesperto ma c’ha tante energie da spendere. E poi quel volpone del Pavesi l’avrà certo ammaestrato per benino; anche se parla solo ‘n dialetto milanese si sarà fatto capire dal Minardi: tira sì ma tienti ‘n po’ d’energia per la volata. E poi c’è quello là. Quello là in pianura l’è miha ‘n frillo. Se siamo ‘n salita gli faccio ancora vedere i sorci verdi ma in pianura cammina e cammina forte per davvero. Forse mi conviene farmi riprendere prima di spendere tutto. Se continuo la fuga mi spompo e, se m’acchiappano, perdo la volata e ci faccio anche la figura del bischero".

Gino rallenta, prende fiato, mangia, si disseta e così, alle porte di Modena, viene ripreso da Coppi e Minardi. E’ stato in fuga solitaria per cento chilometri.

I tre filano di buon accordo verso Bologna. Non possono star lì troppo a cincischiare perché sono stati avvisati che dietro sta rinvenendo fortissimo Loretto Petrucci, il giovane vincitore della Milano-Sanremo, compagno di squadra di Coppi alla Bianchi. Fausto non lo vede tanto di buon occhio perché Loretto è un giovane insofferente delle regole imposte dal "capo". Questo potrebbe essere un altro affronto e il campionissimo non vuole rischiare anche perché il giovane toscano è molto veloce e, in volata, potrebbe mettere d’accordo tutti.

Sul traguardo di Bologna una folla immensa è in trepida attesa. Le notizie dalla corsa fanno prevedere una volata tra Bartali, Coppi e Minardi. Guido Giardini, nel suo articolo su "Sport illustrato" scriverà: Attendendo l’arrivo si intrecciavano anche le previsioni sulla volata dei tre che si attendevano. Vincerà Minardi che è il più giovane? Oppure vincerà Coppi? Si considerava che forse Gino era il più stanco dopo la lunga fuga isolata, estenuante. Io non mi pronunciavo. Minardi? Coppi? Bartali? Interrogai Rodoni che era sulla fettuccia del traguardo. Nessuna esitazione del presidente: "Dopo trecento chilometri di una dura corsa chi vuoi che batta Bartali in volata?".

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Arrivano le staffette a sirene spiegate seguite dall’auto del direttore di corsa, la gente si sporge. Sono ancora in tre assieme a contendersi la volata. Zigzagano un paio di volte poi, ai duecentocinquanta metri, Minardi lancia la volata. Coppi lo affianca e lo supera ma è Bartali a infilare i due di prepotenza e vincere con qualche macchina di vantaggio. Minardi è secondo e Coppi, rialzato, è terzo. E’ il caos tra il pubblico. Il vecchio Gino non ha mai amato essere stretto dai tifosi dopo l’arrivo, nemmeno da giovane. Tante volte li ha allontanati con modi bruschi, anche a gomitate. Oggi non è così. Prega tutti in modo gentile di lasciarlo respirare. Per sottrarlo all’entusiasmo della folla due militi della Polizia Stradale lo sollevano di peso e lo posano sul sellino posteriore della motocicletta di un collega che lo porta sul palco della premiazione. E’ un trionfo! Sale alle stelle l’entusiasmo del pubblico. Non solo, il quotidiano sportivo di Bologna, "Stadio", malgrado sia il primo maggio, richiama in servizio il personale per fare uscire un’edizione straordinaria. Guido Giardini intitolerà il suo articolo "Bartalissimo" e, in effetti, questo 1952 sarà per il trentottenne Gino una grande annata: quinto al Giro, quarto al Tour e, a fine stagione, vestirà la maglia tricolore di campione d’Italia.

 

1° maggio 2012