Storia di una maglia rosa

 

C’era una volta … -Un re!- diranno subito i miei ventiquattro lettori. No, amici, avete sbagliato: c’era una volta una maglia di lana. Sì, una maglia di lana a cinque tasche, da ciclista, e il suo colore era rosa. Era la maglia rosa del Giro d’Italia del 1940.

Venti di guerra aleggiavano su quel Giro del 1940 ma forse in pochi riuscivano ad immaginare l’immane tragedia che si sarebbe abbattuta sul mondo. Alla vigilia del Giro tutti si interrogavano su chi tra Gino Bartali e Giovanni Valetti avrebbe portato la maglia rosa a Milano. Valetti aveva vinto le due ultimi edizioni, quella del ’38, orfana di Bartali al quale era stato ordinato di andare a vincere il Tour, e quella del ’39, beffando Gino nella penultima tappa che portava da Trento a Sondrio. La Bianchi, che non vinceva il Giro dai tempi di Tano Belloni, aveva individuato in Valetti l’uomo del destino e l’aveva strappato alla Frejus a suon di bigliettoni. Gli appassionati di ciclismo pregustavano la grande battaglia tra il toscanaccio e l’elegante piemontese. Le cose non andarono come tutti prevedevano. Giovanni Valetti iniziò, proprio al Giro del 1940, la sua rapidissima parabola discendente. Bartali fu messo subito fuori gioco: nella seconda tappa cadde rovinosamente nella discesa della Scoffera per colpa di un cane e continuò il Giro con francescana sopportazione. Eberardo Pavesi fece buon viso a cattiva sorte e cominciò a pensare cosa inventare per salvare il Giro della Legnano. Andò bene all’avocatt già nella stessa seconda tappa sul traguardo di Genova.

Dal sottopassaggio del vecchio stadio della Nafta sbucò per primo il giovane Fausto Coppi, gregario di Bartali, per tirare la volata al velocista dei ramarri, Pierino Favalli. Quello spirlunga di Coppi tenne al riparo così bene il piccolo sprinter di Soresina che sulla linea bianca il risultato fu: primo Favalli, secondo Coppi, terzo Bailo, nipote di Girardengo. Bailo strappò la maglia rosa a Olimpio Bizzi, il "morino" di Livorno, vincitore della prima tappa.

Nelle tappe successive, mentre Bartali si leccava le ferite e Valetti non riusciva a carburare, Favalli riuscì a vestire la maglia rosa per quattro tappe per poi cederla a Enrico Mollo, uomo di punta dell’Olympia. In una di queste tappe Coppi fu vittima di una caduta e, in preda allo sconforto, voleva ritirarsi. Ci volle tutta la diplomazia di Pavesi per rimetterlo in sella. Fece benissimo il diesse della Legnano perché, nella Firenze-Modena, il giovane Fausto staccò tutti sull’Abetone e, all’ombra della Ghirlandina, vestì la maglia rosa. Era il 29 maggio. Era bellissima quella maglia di lana a cinque tasche e stava bene sul corpo del futuro airone. Sul petto era cucito uno scudetto con al centro il fascio littorio, come il regime imponeva. Quella maglia restò sulle spalle ossute di Coppi fino a Milano. Il giorno dopo la conclusione del Giro l’Italia entrò in guerra.

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All’inizio la guerra sembrava lontana e il ciclismo continuò la sua attività in maniera quasi normale.

Fausto non mise la maglia rosa in un cassetto ma la sfoggiò in tutte le corse su strada fino al Giro di Lombardia. Quel Giro di Lombardia, corso sotto la pioggia, vide Bartali staccare la maglia rosa di Coppi in salita ed arrivare solo al traguardo. Fu quello l’ultimo Lombardia vinto dal campione toscano. In futuro, per Ginettaccio, il Ghisallo si sarebbe sempre di più …. allontanato da Milano.

Fausto si era affezionato a quella maglia rosa e la indossò anche nel 1941. In maglia rosa vinse il Giro di Toscana con due minuti di vantaggio su Bartali, vinse il Giro dell’Emilia staccando Mollo, il Giro del Veneto e la Tre Valli Varesine. Anche nel 1942 vinse il campionato italiano in prova unica a Legnano e infilò la maglia tricolore su quella rosa. Al Vigorelli, a novembre, nel riuscito tentativo sull’ora, abbandonò la maglia rosa per via dei tasconi ingoia vento e indossò una maglia Legnano di lana senza tasche.

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La storia della maglia rosa del 1940 si interruppe con la partenza di Fausto per la guerra d’Africa. Riprese però nel 1945 più che altro per necessità. Nel 1945, tra indicibili difficoltà, l’attività ciclistica continuò. Coppi, prigioniero degli inglesi e poi liberato riprese a correre nel Lazio, dove trovò il falegname Davino di Grumo Nevano che gli diede una prima bicicletta poi, giunto a Roma, l’artigiano Edmondo Nulli gli diede una bici più adatta alle sue misure. La bici era arancione e arancione, con due righe bianche su entrambe le maniche, era la maglia di lana con la scritta "Nulli" fornita con la bici. Nelle tasche della maglia il buon Edmondo infilò anche un po’ di banconote. Fausto fu molto riconoscente sia a Davino sia a Nulli tanto che in maglia arancione corse fino al termine della stagione malgrado avesse già firmato un contratto principesco (per quei tempi) con la Bianchi. Per riconoscenza verso il falegname, a fine stagione, tornò a Grumo Nevano per disputare addirittura una gara di ciclocross.

Ma la maglia rosa del 1940? Beh, i tempi erano assai grami. Si disputavano gare promiscue professionisti e dilettanti. Il materiale sportivo disponibile era davvero poco e di scarsa qualità. Le maglie erano vecchie, stinte, rammendate in qualche modo. Si rigeneravano borracce incrostate ed ammaccate. Gli scarpini erano vecchi, graffiati, aggiustati in qualche modo. I tubolari si trovavano solo al mercato nero e, dopo le forature, venivano messi a tracolla per essere riparati a casa più volte.

Malgrado tutte queste difficoltà, l’imperativo era: "Correre! Correre ad ogni costo!"

La maglia rosa del 1940 non era certamente nuova. L’elastico sui bordi dei tasconi era ormai allentato per lunga militanza ma, per il resto, anche grazie alla naftalina che aveva scacciato le tarme, era quanto di meglio si potesse trovare.

Fausto, che aveva la sua maglia Nulli, diede volentieri al fratello Serse la vecchia maglia rosa. Fausto aveva la licenza da professionista mentre Serse era ancora dilettante ed entrambi erano tesserati per la Società Sportiva Lazio. Serse fu felice di indossare le maglia rosa di Fausto. Al posto dello scudetto con il fascio littorio venne cucito quello della Lazio e così fu fino alla fine della stagione.

Quella maglia rosa così vittoriosa ebbe una imprevista ultima giornata di gloria. Era il 12 agosto 1945 e si correva la Milano-Varzi, 135 km, Milano-Pavia-Cava Manara-Voghera-Rivanazzano-Salice Terme-Godiasco-Varzi-Pietra Gavina-Valverde-S. Albano-Varzi. A Godiasco, Serse Coppi ed Ingesti raggiunsero i fuggitivi Marangoni e Ausenda. Dopo il cedimento di Ausenda restarono in tre al comando. Dietro, Fausto Coppi, in veste di specchietto per le allodole, controllava la corsa mentre gli altri aspettavano una sua mossa. Sullo strappo di Pietra Gavina, Serse staccò i compagni di fuga. Fausto ruppe gli indugi solo quando fu informato che Serse aveva ormai un vantaggio abissale. A Varzi: primo Serse, secondo Fausto a sette minuti, terzo Rebella a otto minuti.

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La maglia rosa del 1940 fu indossata da Serse fino al Giro di Lombardia e poi fu meritatamente riposta in un cassetto con la naftalina.

 

15 novembre 2012